Numero 8/9 - 2004

 

le politiche per il turismo 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Portualità turistica e protezione dei litorali


Eugenio Pugliese Carratelli

Vittoria Biego

Renato Marconi


 

Il turismo nautico è attualmente uno dei settori economici con maggiori prospettive di espansione, ma come tutte le attività turistiche comporta inevitabilmente il degrado delle zone in cui esso si svolge. Eugenio Pugliese Carratelli, Vittoria Biego e Renato Marconi esaminano non solo l’importanza economica e le possibilità future di sviluppo del turismo nautico, ma anche i rischi di impatto del sistema portuale turistico sull’ambiente e sull’equilibrio dei litorali sabbiosi

 

 

 

 

 

 

 

 

Il turismo nautico è attualmente uno dei settori economici con maggiori prospettive di espansione; il suo sviluppo comporta ricadute positive sul territorio sia direttamente, attraverso le attività economiche collegate al movimento dei diportisti – ricovero e manutenzione delle imbarcazioni, ristorazione, spettacoli e visite turistiche – sia indirettamente per i riflessi sull’industria della nautica, la quale non può che ricevere benefici dalla disponibilità di posti barca e dalla maggiore sicurezza nella navigazione connessa all’esistenza di strutture portuali non troppo distanti fra loro.

Inoltre, a differenza di molti altri settori turistici, concentrati in un ristretto periodo dell’anno, il turismo nautico è associato a una richiesta di servizi che non cessa del tutto neanche nella stagione relativamente più debole. All’incremento di movimento nel periodo estivo si associa, infatti, una più forte necessità di ricovero invernale delle imbarcazioni da parte dei proprietari residenti in vicinanza di un porto; questa domanda è, quindi, massima proprio quando la presenza turistica propriamente detta è minima.

In questo senso la nautica sembra essere una carta vincente non solo per i paesi più sviluppati, ma soprattutto per le aree depresse del Mezzogiorno d’Europa e del Nord Africa.

Questa importante possibilità tuttavia non è senza rischi, poiché anche sul turismo nautico – come sugli altri settori turistici – incombono i rischi e i limiti derivanti dall’impatto con l’ambiente.

Tutte le attività turistiche sembrano portare con sé il limite della propria espansione, poiché l’affollamento delle zone in cui esse si svolgono ne comporta inevitabilmente il degrado e la diminuzione di interesse – basti pensare alla condizione delle stazioni sciistiche durante le vacanze invernali o delle spiagge più popolari nei mesi di luglio e agosto. La vastità del mare, per la verità, è tale da rendere impensabile, anche nelle ipotesi di sviluppo più sfrenato, la saturazione delle superfici disponibili al largo. Va tuttavia tenuto presente che la gran parte delle attività nautiche si svolge a poche miglia (o a poche centinaia di metri!) dalle coste e soprattutto gran parte dello stazionamento delle imbarcazioni si svolge all’ormeggio in un porto o in un rimessaggio a terra.

L’infrastruttura principale per lo sviluppo del turismo nautico – il porto turistico – ne costituisce, dunque, l’aspetto critico dal punto di vista delle conseguenze ambientali e, quindi, della sua accettabilità e in ultima analisi della sua stessa desiderabilità.

Parte essenziale della pianificazione dello sviluppo di questa attività è l’analisi dell’influenza che i porti possono avere sui litorali circostanti. Ciò è tanto più importante in quanto ai pericoli e ai danni reali si aggiunge spesso una percezione erronea, perché esagerata e distorta, di questa influenza. Ciò può avere conseguenze sociali ed economiche gravi per un paese come l’Italia, e ancora di più per i paesi mediterranei in via di sviluppo dove il turismo balneare è una delle risorse più importanti; è essenziale, quindi, che la costruzione e l’esercizio dei porti turistici non contribuisca in nessun modo al degrado delle spiagge.

In questo articolo si esaminano da una parte l’importanza economica e le prospettive di sviluppo del turismo nautico, e dall’altro i rischi – reali o percepiti – di impatto del sistema portuale turistico sull’ambiente e, in particolare, sull’equilibrio dei litorali sabbiosi adiacenti, che di questo impatto costituisce l’aspetto di gran lunga più rilevante.

 

 

Il turismo nautico

 

Il turismo nautico, in Italia, ha raggiunto un livello di maturità per quanto attiene la domanda e l’offerta del mezzo nautico, la domanda dei servizi connessi e la domanda dei luoghi di stazionamento.

L’offerta corrispondente a questi ultimi due punti, l’infrastruttura portuale specializzata, è invece ancora approssimativa e per molti aspetti embrionale.

La situazione della portualità turistica italiana presenta un notevole ritardo rispetto alla maggior parte dei paesi a economia avanzata del bacino Mediterraneo ed è caratterizzata da una disomogenea distribuzione di posti barca attrezzati lungo le coste e da una loro concentrazione limitata, principalmente, a poche aree del centro-nord.

Nelle regioni meridionali del nostro paese, poi, si registra un ritardo ancora maggiore e la concorrenza di altri paesi del bacino Mediterraneo, quali Tunisia, Grecia e Turchia, diviene sempre più forte e organizzata.

Non troppo complessa è la quantificazione dell’offerta, espressa in termini di posti barca, in virtù della disponibilità di dati ufficiali attendibili. Non altrettanto accade per la stima della domanda, il cui parametro fondamentale è il numero delle immatricolazioni, per la quale, invece, mancano dati ufficiali di riferimento. Infatti, la normativa vigente, rendendo obbligatoria l’immatricolazione delle sole imbarcazioni di lunghezza superiore ai 10 m, preclude la conoscenza di quel vasto, maggioritario, segmento di imbarcazioni che grava sulle coste italiane.

Tuttavia, prima di affrontare la stima della domanda, utile a quantificare il fenomeno del turismo nautico in Italia, è necessaria una riflessione sull’infrastruttura portuale, a partire dall’assunto che essa rappresenta un’opportunità di sviluppo per il proprio contesto di appartenenza.

Come si è detto in premessa, il settore della nautica genera un indotto rilevante, inerente sia alle attività di produzione e commercializzazione di scafi e attrezzature sia alle attività terziarie rivolte agli armatori (ristorazione, prodotti alimentari e non, ecc.) o legate al turismo (musei, siti archeologici, aree protette, ecc.).

Occorre, tuttavia, sottolineare che tale indotto non è relativo a tutte le imbarcazioni, bensì a quelle di medie e grandi dimensioni (lunghezza superiore ai 7 m fuori tutto), che rappresentano, pertanto, la domanda di qualità. Il rimanente segmento di imbarcazioni, quelle di dimensioni piccole (al di sotto di 7 m l.f.t.) produce un impatto sullo sviluppo delle attività nautiche e sui settori collegati non consistente, in quanto necessita di un minore impiego di spazi e di servizi (marcata autonomia del diportista, minore spesa per le attrezzature, carburante e cambusa, dovuta alle dimensioni della barca che all’uso giornaliero della stessa).

In questa ottica, dunque, occorre favorire la specializzazione della infrastrutture portuali in relazione alla domanda di qualità, favorendo l’impianto di porti a secco per la gestione del parco nautico di piccole dimensioni.

I porti a secco (dry storage) sono strutture di accoglienza predisposte a terra, caratterizzate da un basso costo di impianto e manutenzione, ovviamente da inserire in maniera adeguata nell’ambiente circostante.

Facendo riferimento al criterio che classifica le diverse tipologie di utenza nautica in base al periodo di utilizzo del porto, la domanda di qualità che l’infrastruttura portuale specializzata deve soddisfare è quella relativa al diporto stanziale e di transito.

Il diporto stanziale, che interessa l’utenza che raggiunge il porto via terra, è generato in parte da un’utenza locale, con estensione comunale o regionale in funzione del grado di sviluppo dei collegamenti viari, che utilizza la barca nel tempo libero con una frequenza piuttosto elevata durante tutto l’anno. È inoltre generato da un’utenza extra regionale e, talvolta, extra nazionale stimolata dalla presenza di efficienti reti di trasporto a medio/lungo raggio (autostrade, ferrovia e aeroporti), dalla presenza di strutture e attività di servizio all’imbarcazione e, infine, dalla localizzazione favorevole del porto rispetto alle mete turistiche e alle aree di vacanza.

Il diporto di transito, relativo alla categoria di utenza che raggiunge il porto via mare, è generato dal traffico di matrice turistica per periodi brevi durante i mesi estivi. Il transito dà vita a una particolare categoria di turismo, il turismo nautico, differente da quello tradizionale. Esso è favorito dalla presenza, nelle vicinanze del porto interessato, di siti turistici, di aree idonee alla balneazione e, in generale, da un contesto ambientale gradevole, ma è anche stimolato dalla presenza di strutture di accoglienza dotate di un’ampia offerta di servizi.

Dunque, la stima offerta/domanda di qualità, secondo quanto espresso finora, si differenzia da quella più generale di tipo tradizionale, ed è caratterizzata da un livello di complessità/articolazione maggiore dovuta in parte alla revisione dei termini relativi ai parametri tradizionali, in parte all’introduzione di nuovi parametri.

Significativi, rispetto al numero dei posti barca e al numero delle immatricolazioni, considerati parametri originali, sono:

- in relazione alla domanda, il recupero del cosiddetto segmento di qualità non registrato, corrispondente a quelle imbarcazioni, di lunghezza compresa tra 7 e 10 m di lunghezza, la cui esistenza, in virtù delle successive modifiche della legge 11 febbraio 1957, non è più documentata dalle fonti ufficiali;

- in relazione all’offerta, l’esclusione del segmento dei natanti di lunghezza inferiore ai 7 m l.f.t., per il quale si auspica la realizzazione dei porti a secco.

Si accenna soltanto, in merito alla dotazione dei servizi offerti dal porto, all’opportunità di introdurre una distinzione tra servizi base, attinenti all’attività nautica in senso stretto, e servizi accessori, ossia il terziario menzionato in precedenza.

Per illustrare, dunque, la dimensione del turismo nautico, nell’ottica dell’infrastruttura portuale specializzata, è utile considerare gli esiti delle stime numeriche relative all’offerta, alla domanda e al rapporto tra loro intercorrente, che rappresentano uno stralcio di un lavoro più ampio e innovativo (Tabella 1).

Tabella 1

 

Da tali dati si evince che la domanda di qualità insoddisfatta è decisamente consistente. Inoltre, è importante osservare come è la stessa offerta a trainare la domanda in un inseguirsi di cifre che vedono nella possibilità di stazionamento sicuro un forte incentivo all’acquisto o all’accrescimento nelle dimensioni della propria imbarcazione. Tale affermazione, riscontrabile nelle valutazioni relative a regioni mature dal punto di vista infrastrutturale, quali la Liguria e la Toscana, è ben descritta dallo sviluppo di coste ad alta/altissima incidenza di porti turistici, quali la Costa Azzurra o il fiordo di Southampton, dimostratisi negli anni prima località all’avanguardia nel settore poi sviluppatosi di una utenza nazionale e infine attrattori su vasta scala di utenza internazionale.

 

 

Un esempio di rete nazionale dei porti turistici

 

La rete nazionale dei porti turistici, in questo orizzonte, è un progetto organico teso allo sviluppo del settore della portualità turistica attuabile in un arco di tempo compatibile con le attese di sviluppo del tessuto socio-economico correlato ed è promossa dal Ministero dell’economia e dal Ministero delle infrastrutture.

Per l’attuazione del progetto è stata costituita e adeguatamente finanziata da Sviluppo Italia una società per azioni denominata Italia Navigando.

Al termine del programma novennale, nel 2011, il sistema portuale, promosso e sviluppato da Italia Navigando, avrà una consistenza complessiva di circa 25.000 posti barca, di cui il 10% (2.500 posti barca) interesserà le imbarcazioni al di sotto dei 7 m l.f.t. Tale consistenza rappresenterà, a quell’epoca, il 16% dell’offerta relativa alle infrastrutture portuali specializzate del paese. Quel 10% relativo all’imbarcazioni di piccole dimensioni troverà ospitalità in apposite strutture all’asciutto (dry stack storage).

La rete costruita da Italia Navigando soddisferà soltanto una quota parte delle esigenze, ma funzionerà da stimolo e da modello per altre iniziative.

Gli interventi saranno realizzati attraverso specifiche intese con regioni e comuni mediante stipula di convenzioni con gli enti locali per la programmazione e realizzazione degli interventi e costituzione di società di scopo a livello locale in eventuale partnership con enti locali territoriali e operatori privati, nonché acquisizione di partecipazioni in società già operative nella gestione di porti turistici.

Il complesso degli investimenti necessari per collegare in rete le prime cinquanta realtà portuali specializzate è di circa 600 milioni di euro provenienti sia da risorse pubbliche dedicate (non più del 30%) che da investimenti privati e bancari o da autofinanziamento.

Il ritorno occupazionale atteso da questa realizzazione è imponente, a fronte dell’investimento pubblico previsto, sia in termini di nuova occupazione sia diretta che indiretta. Rispettivamente 5.000 unità e 3.000 unità pari a un rapporto di un nuovo posto di lavoro per ogni 20.000 euro circa di investimento pubblico atteso.

 

 

I porti turistici e l’evoluzione del litorale

 

I litorali sabbiosi sono in continuo movimento: anche l’osservatore occasionale può notare – su una spiaggia a lui familiare – il sensibile mutamento della posizione della battigia nel corso di un anno, solitamente tra estate e inverno, o addirittura in corrispondenza di una singola forte mareggiata.

Le oscillazioni più o meno casuali derivanti dall’azione del mare mostrano una certa regolarità annuale, per cui le spiagge in estate sono più estese che in inverno. Questa relativa regolarità si sovrappone a tendenze di più lungo periodo – e di origine generalmente incerta – che possono essere di accrescimento oppure di erosione.

La percezione più comune però – sia dei profani sia di gran parte degli studiosi del ramo – è che la tendenza prevalente in Italia sia quella erosiva, cioè verso la progressiva riduzione o addirittura scomparsa delle spiagge. Le spiegazioni di questo fenomeno generale abbondano: si va dalle variazioni climatiche, che possono influenzare il clima marino, alla variazione del livello medio del mare, alla realizzazione di dighe e briglie a monte delle foci fluviali e naturalmente alla costruzione di porti e difese costiere.

Ogni variazione nell’equilibrio di questi fattori produce immediati effetti sul litorale e la ricerca di un nuovo equilibrio naturale, in accrescimento o in erosione.

Nella storia sono presenti esempi di cause anche molto lontane dai litorali medesimi che hanno prodotto sensibili effetti, anche di lunga durata, sui litorali.

Uno fra tutti l’evoluzione del litorale laziale alla foce del Tevere che ha segnato cospicui protendimenti nei periodi di benessere e potenza economica di Roma a causa delle deforestazioni del bacino imbrifero umbro-laziale del Tevere ed erosioni nei periodi bui del primo e secondo medioevo caratterizzati da riforestazione spontanea.

In molti casi a questa mutazioni reali si sovrappone l’effetto psicologico della nostalgia. Quali che siano le tendenze in atto e quali che ne siano i motivi, naturali o indotti dall’uomo, il litorale è comunque una realtà in sensibile mutamento rispetto ai tempi della vita umana. La reazione comune a questo mutamento è il desiderio che tutto torni come era prima, anche se l’immagine che individualmente ognuno conserva di una spiaggia è solo un istante di quello che, su una scala dei tempi anche non troppo lunga, è in realtà un processo fortemente dinamico. È assai verosimile, ad esempio, che in passato – tra il XIX e la prima metà del XX secolo quando l’effetto del disboscamento connesso alle costruzioni e all’impiego su larga scala del carbone di legna si faceva già sentire con il conseguente incrementato apporto di sedimenti, ma non si avvertivano ancora le conseguenze degli interventi di sistemazione fluviale – si sia verificata una fase di relativa abbondanza di litorali sabbiosi. Questo momento storico evidentemente non tornerà mai più, ma è ormai fissato nella memoria di generazioni.

In ogni caso, anche nelle situazioni in cui questo arretramento delle spiagge non si verifica in senso generale, sono comunque presenti forti oscillazioni temporali e spaziali della linea di spiaggia su periodi di tempo dell’ordine degli anni. Queste possono essere causate tra l’altro dalle variazioni annuali del moto ondoso incidente, ma è interessante notare che l’instabilità morfologica della linea di costa è in molti casi un effetto intrinseco, poiché la linea di costa è soggetta a instabilità propria anche indipendentemente dalle variazioni climatiche e dall’apporto solido fluviale e dalla presenza di interventi antropici. Questo aspetto, fino a tempi recenti oggetto di osservazione empirica da parte degli operatori e degli studiosi del settore, ha trovato una dimostrazione formale riportata recentemente su Nature (Ashton et alii).

Tutte queste fluttuazioni, quale ne sia l’origine, provocano come è naturale, allarme e preoccupazione tra gli esercenti e gli utenti degli stabilimenti balneari. È evidente, infatti, che mentre la riduzione della larghezza di spiaggia disponibile può mettere a rischio o fare scomparire l’attività turistica, il suo accrescimento oltre un certo limite non comporta nessun vantaggio. Quando il litorale è fortemente occupato da attività legate al turismo e al tempo stesso la sua estensione varia continuamente, si ha come risultato la creazione continua di situazioni di crisi e di scontento, anche se l’area totale balneabile non varia.

A titolo di esempio si può considerare l’analisi elaborata nel corso di uno studio svolto dell’Università della Calabria (Giarrusso et alii) su un tratto della costa tirrenica della Calabria compresa tra il Comune di Amantea a nord e quello di Gizzeria a sud. Nel corso di tale studio sono state analizzate le variazioni sopravvenute nelle linee di costa storiche tra il 1934 e 1992 e si è evidenziato, esaminando il bilancio delle variazioni, che l’erosione complessiva in tale zona nel lungo periodo considerato è stata assai limitata (Figura 1).

Figura 1 - Bilancio dei volumi tra i promontori di Coreca e di Suvero

 

È evidente, quindi, che in questo caso i fenomeni erosivi con i danni effettivamente riscontrati e il relativo allarme tra le popolazioni sono dovuti alle variazioni spaziali e temporali su più piccola scala del fenomeno. Può, infatti, accadere che un solo episodio di poche ore (mareggiata) possa provocare una rilevante modifica del profilo trasversale di una spiaggia, ma nell’arco di una o più stagioni la perturbazione conseguente viene largamente mascherata dall’evoluzione a medio termine della linea di battigia, ed è questo certamente il caso calabrese in esame.

Alla luce di quanto riportato risulta chiaro che il fenomeno della diminuzione delle spiagge è dovuto a un insieme di cause spesso non facilmente isolabili l’una dall’altra; il disboscamento, le sistemazioni montane, le variazioni climatiche, la costruzione di invasi, la realizzazione di porti e altre opere costiere intervengono in varia maniera su un regime dei litorali che risulta complessivamente caotico e, quindi, poco prevedibile almeno sotto l’aspetto strettamente quantitativo.

Quando si guardi il fenomeno su scala temporale e spaziale più ridotta si nota però che l’effetto di singole cause è più immediato e più facilmente identificabile; le zone immediatamente a ridosso di un intervento litoraneo, ad esempio, sono notoriamente influenzate dagli ostacoli posti al trasporto dei sedimenti lungo la costa.

All’esempio di prima si può contrapporre quello, quasi da manuale, della costa compresa tra il fiume Basento e Sapri (Figura 2) in cui la costruzione di un porto turistico in località Santa Marina ha influenzato in maniera vistosa il regime litoraneo.

Figura 2 - Accumulo di sedimenti a ridosso di un porto e area erosa

 

In questo sito la direzione prevalente delle mareggiate al largo è da ovest, all’incirca parallela alla direzione della costa. Esiste, quindi, in questo caso, come in molti analoghi, una forte tendenza al trasporto di sedimenti lungocosta che, in condizioni indisturbate, in parte si disperde verso il largo e in parte può restare intrappolato nei fondali relativamente profondi localizzati lungo il lato est del litorale.

In passato la perdita veniva bilanciata dall’apporto solido proveniente dal fiume Basento. Questo apporto è venuto meno per due ragioni: la costruzione di una diga lungo il corso del fiume e la realizzazione del porto turistico. È difficile – oltre che inutile in questo contesto – distinguere l’importanza relativa di questi due fattori. È però evidentissimo l’ostacolo causato dal molo di sopraflutto del porto, in corrispondenza del quale si è formato un accumulo di materiale sabbioso. Solo il materiale più sottile può oltrepassare tale sbarramento. Lo squilibrio così creatosi causa la situazione erosiva a ovest – testimoniata tra l’altro dalle numerose opere di protezione realizzate nel corso degli anni.

Non c’e motivo di ritenere che questo meccanismo debba arrestarsi in futuro.

Un ulteriore esempio che vale la pena di segnalare è il caso della baia di Cala Galera in Provincia di Grosseto (Figura 3 e 4).

Figura 3 - Baia di Cala Galera

 

La baia situata all’apice occidentale della falcata sabbiosa del tombolo della Feniglia fungeva da naturale polmone di compenso alla medesima spiaggia. A seguito della costruzione, sulla porzione più meridionale della baia, di un approdo turistico, il naturale flusso e riflusso delle sabbie si è ovviamente arrestato producendo un progressivo interrimento della porzione di baia non portuata. Il materiale ivi deposto (oggi oltre 2.000.000 m³) è stato ovviamente sottratto all’equilibrio della Feniglia.

Figura 4 - Baia di Cala Galera

 

Dopo quasi trenta anni e verificato purtroppo de visu il degrado ambientale dell’ansa residua della baia – un acquitrino melmoso – (Figura 5), l’insabbiamento dell’imboccatura portuale della Marina di Cala Galera e l’erosione della porzione centrale della falcata sabbiosa della Feniglia. Appare evidente la necessità di un intervento di protezione e ripristino che potrebbe essere realizzato attraverso la modellazione del vertice di Poggio Pertuso e il ripascimento con le sabbie dragate della parte centrale della spiaggia della Feniglia. Le popolazioni locali, tuttavia, rese diffidenti dagli effetti negativi degli interventi precedenti, non sono ancora convinte dell’opportunità di realizzare queste opere di protezione e ripristino.

La pianificazione dello sviluppo costiero deve, tra le altre cose, anche riscattare l’eredità negativa dello sviluppo incontrollato degli anni passati.

Figura 5 - Baia di Cala Galera

 

 

La pianificazione portuale come elemento di freno al degrado

 

Contributo fondamentale alla limitazione degli impatti sul territorio, con particolare riguardo a quello litoraneo, è offerto da un processo di pianificazione degli interventi che seguono le leggi della domanda e dell’offerta e sono rispettosi dei limiti imposti dall’ingegneria marittima.

Ogni comunità costiera nazionale ritiene di ottenere grandi ritorni in termini economici e di immagine dalla realizzazione di un approdo turistico, prescindendo dalle fondamentali leggi della domanda e dell’offerta e dalla stessa fattibilità tecnica delle diverse iniziative.

L’assenza fino a oggi di una valida pianificazione della portualità turistica in Italia ha prodotto alcune centinaia di opere incomplete, abbandonate o mal gestite con una mancata resa di denaro pubblico/privato in termini di ricaduta socio-economica sui territori interessati. Questi interventi, in molti casi, non solo rappresentano esempi di inefficienza degli investimenti ma producono anche gravi disastri ambientali con perdita di litorali balneari, inquinamenti diversi, ecc. in una spirale negativa dall’effetto deleterio su amministrazioni e popolazioni locali.

Nonostante in Italia gli esempi negativi siano svariate decine e superino di gran lunga le situazioni positive specialmente al centro sud, prosegue la corsa delle amministrazioni locali a questo suicidio annunciato.

È ormai evidente che in Italia basterebbe rendere efficienti o completare parte di quelle strutture secondo un piano rigoroso di qualità del servizio reso e di distribuzione lungo la costa per soddisfare la domanda interna e anche buona parte della potenziale domanda internazionale. Questo si è verificato solo in pochi casi (come in Campania e in Sicilia), dove gli enti territoriali hanno dimostrato volontà e capacità di intervenire per regolare e pianificare in maniera coerente lo sviluppo e l’utilizzo dei porti.

Esistono poi possibilità di intervento assi meno impattanti di un porto classico, che pure offrono buone prospettive di sviluppo; ad esempio, in qualche caso di interesse dal punto di vista economico, ma privo di connotati tecnici e ambientali per la realizzazione di un porto turistico di standard elevato, è possibile introdurre il concetto di porto a secco e cioè una struttura dedicata a imbarcazioni di dimensioni minori fino a 7 m lft) con stazionamento prevalente in apposite rastrelliere multipiano a terra e alaggio e varo su richiesta del cliente.

Tale genere di struttura ha impatto pressoché nullo sui litorali, in quanto utilizza un semplice banchinamento alla foce di un corso d’acqua o un pontile dal quale effettuare le operazioni di alaggio e varo con appositi fork-lifts modificati.

Questa metodologia, ancora sviluppata artigianalmente in Italia (es. Marinella a Palermo, Canale Santa Liberata a Orbetello, ecc.) ha un’affermazione notevole negli Stati Uniti e nel centro-sud America, dove le si riconoscono, oltre alla mancanza di effetti negativi sui litorali, un modesto costo di primo impianto (1/5 rispetto a un porto tradizionale) e una ridotta manutenzione delle imbarcazioni così stivate, pari a circa il 50% di quanto necessario per il mantenimento di una eguale imbarcazione ormeggiata tradizionalmente in un bacino protetto.

 

 

Conclusioni

 

Lo sviluppo delle infrastrutture per la nautica da diporto è una delle realtà economiche di maggior interesse per il Mezzogiorno d’Italia e per molti paesi del Mediterraneo.

L’effetto della costruzione di un porto in vicinanza di un litorale esposto sabbioso presenta conseguenze quasi sempre negative per le spiagge circostanti; dall’altro canto il regime complessivo di un litorale su tempi medio lunghi è in ogni caso fortemente dinamico e a oggi quantitativamente imprevedibile.

Chi deve pianificare e gestire lo sviluppo di un sistema portuale si trova nella scomoda situazione di dover affrontare non solo gli effetti realmente dannosi degli interventi, ma anche una percezione eccessiva e falsata di tali effetti da parte dell’opinione pubblica e dei portatori di interessi.

Non esiste una ricetta unica per affrontare questi problemi; emergono tuttavia due distinte linee di azione. La prima è più specifica e consiste nel prescrivere ai gestori di ciascun singolo intervento le contromisure locali per ridurre l’ostacolo al movimento dei sedimenti: contromisure che si riducono sostanzialmente al by-pass ottenuto attraverso impianti fissi o mobili di escavo per il ripristino dell’equilibrio del trasporto solido longitudinale.

Il secondo ambito è, invece, quello della pianificazione e manutenzione complessiva, su aree vaste, del litorale sabbioso. Sulla necessità di questa azione pianificatoria sembra esserci accordo generale, mentre regnano confusione e vaghezza estreme sulla forma che essa dovrà effettivamente assumere.

La pianificazione in questo ambito non può essere intesa come un atto progettuale e creativo attraverso cui, in un certo istante, si pretenda di determinare il futuro della fascia litoranea che, come si è detto, è soggetta a un’evoluzione complessiva prevedibile spesso solo in via qualitativa. Essa deve consistere, invece, nella gestione dinamica di una realtà continuamente mutevole attraverso le tecnologie più diverse, quali le opere di protezione, il recupero delle sabbie al largo, il ripascimento e il dragaggio di manutenzione.

Nella difesa della costa, come del resto in tutti i settori della difesa del suolo, si devono abbandonare concetti illusori e contraddittori tra di loro come quelli della sistemazione definitiva, della messa in sicurezza, della rinaturalizzazione, accettando invece non solo il fatto che l’intervento umano è un’azione innaturale, in una situazione che comunque naturale non è, ma anche che occorre entrare in un’ottica di gestione continua e di manutenzione, piuttosto che di intervento risolutorio.

Ovviamente quest’ultima considerazione è vera anche a prescindere dalla presenza delle opere portuali; un nuovo sistema di infrastrutture turistiche può, quindi, essere l’occasione per affrontare in maniera positiva e dinamica il trito problema della gestione dei litorali.

 

 

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