Numero 1/2 - 2000

 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Idee per la riforma regionale della pianificazione territoriale e urbanistica


Alfonso De Nardo


apre il dibattito sulla legge urbanistica della Campania, in merito alla cui approvazione è impegnata la nuova giunta regionale. Unicità della pianificazione territoriale ed articolazione della strumentazione urbanistica in piani a scala vasta e comunali sono i capisaldi intorno ai quali, secondo Alfonso De Nardo, deve ruotare l’articolazione del disegno di legge, che può essere anticipatamente convertito in legge per stralci di particolare urgenza, per esempio, relativamente alle procedure di approvazione dei PTC provinciali 

 

 

 

 

 

Pianificazione territoriale e urbanistica

 

Compito della pianificazione territoriale e urbanistica è regolare le trasformazioni del territorio, per dare loro ordine e coerenza, attraverso la definizione di un sistema di regole al cui rispetto devono essere tenuti non solo i soggetti privati, ma anche i soggetti pubblici, quando esercitino il ruolo di agenti delle trasformazioni1.

La regolazione delle trasformazioni del territorio è obiettivo di grande rilevanza politica, specie nel momento in cui la pianificazione in quanto tale è ripetutamente messa in discussione, nell’euforia esasperatamente mercatistica che pervade le schiere sempre più ampie degli assertori della sua fine, cresciute all’ombra del neoliberismo nostrano. L’impegno riformatore della Sinistra in questo campo (per la verità da molto tempo non evidente) è a pieno titolo riprova della sua capacità (anche questa oggi tutta da dimostrare) di lavorare di nuovo a un "progetto di società".

Il problema delle risorse, di tutte le risorse attingibili dal nostro pianeta, e oggi sempre più forsennatamente consumate, è ormai essenzialmente il problema del futuro: della garanzia per le prossime generazioni di poter fruire delle stesse risorse. È quindi il problema della sostenibilità dello sviluppo. Parlare di risorse significa parlare di acqua, di aria, di suolo, ma significa anche parlare di paesaggio, almeno nell’accezione del termine data dalla scuola della pianificazione ecologica del territorio: quella di "sistema di ecosistemi". In quest’ottica è chiaro che la riduzione della biodiversità, l’estinzione delle specie animali e l’alterazione delle caratteristiche del paesaggio naturale e di quello culturale sono esempi di "consumo" di risorsa così come lo sono l’esaurimento delle risorse idriche o l’alterazione qualitativa della risorsa atmosferica per effetto dei fenomeni diversi di inquinamento. Lo sviluppo sostenibile è sviluppo della libertà, di questa e delle prossime generazioni, è libertà sostenibile, come dice Amartya Sen2, nel senso che sulla storia delle libertà (economica, politica, sociale) si innesta la questione ambientale. E l’unico modo per permettersi uno sviluppo della libertà (quindi uno sviluppo nell’equità, nella pari opportunità per tutti i cittadini del pianeta e per le stesse generazioni future di fruire delle risorse rinnovabili, ma esauribili), quindi uno sviluppo sostenibile che non passi attraverso disuguaglianze e coercizioni delle libertà (ovviamente a danno dei più deboli) è poter disporre di regole che consentano un uso razionale e pianificato delle risorse.

La risorsa paesaggio è utilizzata in maniera sostenibile se la sua fruibilità è conservata per le generazioni future. Non deve essere conservato il paesaggio, come se si trattasse di un’entità statica, capace di avere una vita senza modificarsi continuamente; si tratta invece di conservarne l’integrità fisica e l’identità culturale, i caratteri fondamentali del suo essere risorsa disponibile per il futuro. Quindi non di conservare in senso stretto, ma di puntare a uno sviluppo equilibrato, che non comporti alcuna perdita delle qualità intrinseche della risorsa territorio; di puntare quindi alla qualità dello sviluppo.

 

Articolazione dei livelli di pianificazione

 

La molteplicità delle implicazioni derivanti da ogni momento di trasformazione e di sviluppo, la complessità dei parametri che rappresentano l’integrità fisica e l’identità culturale del territorio, l’intreccio e la sovrapposizione, nella valutazione degli effetti delle trasformazioni del territorio, di numerose settorialità, la necessità di approcci interdisciplinari all’analisi dei caratteri del territorio e del paesaggio, hanno imposto storicamente l’articolazione del processo di pianificazione secondo due distinti schemi, che si sono progressivamente arricchiti nel corso di alcuni decenni:

- uno schema di articolazione "verticale", tra figure di pianificazione di diversa estensione territoriale, generalmente gerarchizzato: piani a scala vasta (regionali, provinciali, comprensoriali), piani comunali, piani particolareggiati;

- uno schema "orizzontale", tra strumenti che per ciascun livello di estensione coprono aspetti diversi (talvolta neanche tanto) delle relazioni tra intervento antropico e territorio:

- a scala vasta: piano territoriale regionale, piano territoriale di coordinamento (provinciale), piano del parco (aree protette), piano di bacino (per la difesa del suolo), piano paesistico;

- a scala sub-comunale: piano particolareggiato; piano di recupero urbano; piano di lottizzazione, piano degli insediamenti produttivi (PIP), piano di zona per l’edilizia economica e popolare (PEEP), ecc.

La proliferazione delle figure di pianificazione e l’affollamento dei corrispondenti soggetti istituzionali sono il miglior argomento dei nemici della pianificazione. Del resto è fin troppo facile parlare di fallimento della pianificazione e dell’urbanistica in un paese dove ci sono stati ben due condoni in meno di dieci anni e dimostrare la sostanziale inefficacia delle norme e dei meccanismi con i quali, a partire dalla legge urbanistica del 1942, si è preteso di controllare lo sviluppo del territorio. Di qui a sostenere la necessità di liberarsi del tutto dall’inutile ingombro della pianificazione il passo è breve, come dimostra il recente "documento di inquadramento delle politiche urbanistiche comunali" del Comune di Milano. E a considerare le stesse inefficaci e disapplicate norme di tutela come iniqui vincoli dai quali finalmente deve essere giunta l’ora di sbarazzarsi attraverso l’ennesima sanatoria universale, il passo deve essere altrettanto breve e facile, come cerca di mostrarci in questi giorni la giunta regionale siciliana.

Ma si tratta, come spesso succede quando le demagogie prevalgono sulla ragionevolezza, del solito tentativo di buttar via il bambino con l’acqua sporca.

È necessario invece ridare efficacia alla pianificazione e al controllo democratico dello sviluppo del territorio, restituendo snellezza alle procedure di formazione e approvazione degli strumenti di pianificazione, eliminando doppioni e sovrapposizioni di competenze, adeguando i meccanismi di controllo istituzionale, riarticolando la distribuzione dei poteri tra organismi statali e autonomie locali sulla base dei più avanzati e ormai ampiamente condivisi indirizzi federalistici.

Di tutto ciò dovrà occuparsi l’ormai da tempo attesa legge quadro, della quale sembra dovrà occuparsi il prossimo parlamento. Ma prima ancora di ciò deve occuparsi la Regione Campania, con l’urgenza che le deriva dalla particolare arretratezza e inefficacia del proprio ordinamento normativo, nel solco delle esperienze di riforma regionale della materia che in più di un caso, in Lazio come in Emilia, hanno consentito nei fatti di innovare e sopravanzare, pur nei limiti consentiti dalla normativa generale di riferimento nazionale, lo stesso impianto legislativo statale.

 

Articolazione dei poteri

 

Lo sviluppo e la tutela di un territorio devono essere decisi da chi vive in quel territorio e perciò lo conosce meglio di chiunque altro. Il disegno dello sviluppo del territorio e del paesaggio deve essere perciò di competenza del Comune, nel rispetto del principio di sussidiarietà.

Il potere dell’Autonomia locale è limitato per due soli motivi:

- il territorio è patrimonio non solo della comunità locale che lo abita, né solo delle presenti generazioni;

- alcune problematiche dello sviluppo e della tutela possono essere efficacemente affrontate solo su una scala diversa da quella comunale.

Da ciò consegue:

la pianificazione del territorio comunale deve essere effettuata da ciascun Comune, che deve essere il principale agente dell’attività di controllo della conformità degli interventi pubblici e privati alle prescrizioni di piano;

la pianificazione deve avvenire nel rispetto degli indirizzi e delle prescrizioni stabilite nella pianificazione territoriale di area vasta, al fine di coordinare lo sviluppo dei diversi territori comunali all’interno di un progetto coerente di riassetto dell’intero territorio provinciale;

la pianificazione comunale deve uniformarsi agli strumenti di pianificazione settoriale relativi a materie di rilevanza sovracomunale (la difesa del suolo e delle acque, la tutela dei beni culturali, la mobilità intercomunale, i distretti industriali, ecc.);

devono essere attivati meccanismi certi e tempestivi di sostituzione nel caso che i Comuni non esercitino la loro competenza nei tempi stabiliti o non rispettino gli indirizzi e le prescrizioni di livello sovraordinato o non garantiscano l’attuazione dei propri strumenti di pianificazione.

 

Unicità della pianificazione territoriale

 

Non c’è territorio senza paesaggio, né paesaggio senza territorio.

Non esiste quindi pianificazione territoriale che non sia anche paesistica.

A maggior ragione non c’è bisogno di una pianificazione paesistica diversa e separata dalla pianificazione territoriale.

All’unificazione "orizzontale" degli strumenti di pianificazione deve corrispondere la concentrazione delle competenze istituzionali, affinché l’Amministrazione pubblica eserciti, al fine di garantirne l’uso sostenibile, un controllo delle trasformazioni della risorsa territorio dotato del massimo di efficacia e di rigore, ma proprio per questo esente da sovrapposizioni.

 

Le componenti della pianificazione

 

La storia della pianificazione urbanistica e territoriale italiana degli ultimi decenni è anche storia degli innumerevoli piani che hanno impartito indirizzi largamente inattuati, ovvero della pletora di strumenti di programmazione e intervento (dalle varianti di piano a quelli che Vezio De Lucia chiama gli istituti eversori) con i quali in buona sostanza sono state forzate, volta per volta, le maglie ordite dal piano.

L’orientamento di pensiero più evoluto richiede che la pianificazione sappia nel contempo delineare gli indirizzi strategici dello sviluppo (senza per questo restare solo nebulosamente e vagamente prescrittiva) e indicare le cose concrete da affidare all’iniziativa pubblica o privata per il recupero, la riqualificazione e lo sviluppo del territorio, precostituendo così essa stessa il modello di un suo progressivo adattamento al mutare delle condizioni oggettive dei luoghi.

La pianificazione urbanistica va perciò articolata in due parti:

Una parte "strutturale" che definisce le trasformazioni del territorio compatibili con la conservazione dell’integrità fisica e dell’identità culturale, quindi con il progetto di uso sostenibile della risorsa territorio; che delinea, attraverso norme precettive, le condizioni dell’intervento di trasformazione; che richiede procedure di formazione di maggiore garanzia istituzionale;

Una parte "programmatica" che definisce le specifiche destinazioni d’uso, e le trasformazione da attivare per iniziativa pubblica e privata nel periodo di svolgimento di una specifica esperienza di governo di ciascuna realtà locale.

La parte programmatica del piano generale può sostanziarsi o completarsi in piani operativi quando le trasformazioni previste richiedano ulteriori elementi di specificazione e di dettaglio. I piani operativi riassumono i diversi piani attuativi o esecutivi tipizzati dalla legge nazionale. "Spetterà alla pianificazione generale precisare, in aderenza alla concreta realtà dei diversi territori e alle discipline dettate dalla stessa pianificazione generale, i contenuti e gli elementi costitutivi dello strumento urbanistico di specificazione e di dettaglio, in relazione alle diverse fattispecie alle quali può applicarsi e alle prestazioni richieste"3.

 

I piani territoriali a scala vasta

 

L’elemento centrale della pianificazione territoriale a scala vasta è il PTC provinciale.

Il piano territoriale regionale assume come proprie le previsioni strutturali dei piani provinciali di coordinamento e le adegua a propri indirizzi generali di coordinamento per gli aspetti relativi alla definizione degli assi principali di sviluppo e delle linee strategiche di governo del territorio regionale (viabilità di livello regionale e interregionale, individuazione dei principali nodi di interscambio e di intermodalità, definizione dei distretti industriali, adeguamento alle linee dei principali piani di settore regionali).

Il piano territoriale di coordinamento provinciale definisce i principali obiettivi ambientali, culturali e socio-economici dello sviluppo e determina le condizioni generali e gli indirizzi di coordinamento delle pianificazioni urbane di livello comunale. Individua e pianifica le funzioni e le attività di trasformazione di livello sovracomunale e si raccorda agli strumenti della pianificazione territoriale specialistica (piani dei parchi, piani di bacino). Assume la valenza di piano paesistico dell’intero territorio provinciale.

Il piano territoriale di coordinamento provinciale è strumento di indirizzo e inquadramento, dotato però di carattere precettivo per tutti, e solo, quegli aspetti e oggetti che alla scala sub-provinciale non siano governabili con efficacia.

Il piano territoriale di coordinamento provinciale è approvato dalla Provincia sulla base dell’intesa raggiunta in un’apposita conferenza di servizi (conferenza territoriale), convocata dalla Provincia stessa, alla quale partecipano tutti i soggetti istituzionali sovracomunali titolari di funzioni riguardanti la regolazione dello sviluppo del territorio. La conferenza esamina il piano e ne verifica la coerenza con i vincoli e le disposizioni vigenti, relative a beni culturali, ambiente, difesa del suolo, protezione dei rischi derivanti da calamità naturali.

 

I piani urbanistici

 

I piani urbanistici comunali definiscono l’assetto del territorio del Comune.

La componente strutturale del piano urbanistico comunale ha validità a tempo indeterminato.

La componente programmatica, che può essere parte integrante del piano urbanistico o può essere rinviata ai piani operativi, ha la durata di cinque anni.

Il meccanismo della convenzione, applicabile tanto alle lottizzazioni che a singole concessioni (nei casi di non obbligatorietà del piano operativo) garantisce una tutela avanzata dell’integrità territoriale e nello stesso tempo consente anche al singolo cittadino modalità d’intervento oggi precluse, orientate nel senso della perequazione.

Le varianti ai piani urbanistici sono approvate con le stesse modalità dei piani.

I piani urbanistici comunali sono redatti nel rispetto delle norme precettive e degli indirizzi del piano territoriale di coordinamento provinciale. Essi vengono approvati dal Comune sulla base dell’intesa raggiunta in un’apposita conferenza di servizi (conferenza urbanistica) convocata dal Comune stesso, alla quale partecipano tutti i soggetti istituzionali sovracomunali titolari di funzioni riguardanti la regolazione dello sviluppo del territorio. La conferenza esamina il piano e ne verifica la coerenza con le disposizioni del piano territoriale di coordinamento provinciale, nonché con i vincoli e le disposizioni vigenti relative a beni culturali, ambiente, difesa del suolo, protezione dei rischi derivanti da calamità naturali.

Gli strumenti della programmazione economica degli interventi pubblici e pubblico/privati (PRUSST, patti territoriali, ecc.) devono comunque essere conformi alle disposizioni dei piani urbanistici.

 

I piani operativi

 

I piani operativi assumono la stessa valenza della componente programmatica dei piani urbanistici, per quelle aree per le quali il piano stesso richiede la preventiva approvazione del piano operativo.

I piani operativi sono approvati dal Comune e non sono sottoposti alla valutazione della conferenza di servizi di cui al punto precedente.

 

I tempi della pianificazione

 

La mancanza di certezza sui tempi della pianificazione territoriale e urbanistica è il secondo grande argomento a favore dei nemici della pianificazione. Una pianificazione senza tempi certi è come la giustizia dei processi interminabili: opprime senza garantire, è inefficace e ingiusta.

I tempi medi della pianificazione in Campania sono sempre ultradecennali. Contribuiscono a ciò in misura eguale:

- l’atteggiamento non sempre convinto e coerente degli stessi committenti della pianificazione urbanistica (sono sempre numerosi i casi di inerzia, di lentezza estenuante nella formazione degli strumenti urbanistici e nell’adozione dei relativi atti amministrativi, così come sono numerosi e abbondantemente documentati i casi di piani ipertrofici);

– l’inefficacia delle azioni surrogatorie messe in atto in caso di inerzia dei Comuni (di norma la nomina dei commissari ad acta si traduce in ulteriore stiramento dei tempi già patologici del processo di pianificazione);

– l’incongruenza e la pesantezza di meccanismi di controllo sovraordinato (CTR, Provincia, Comunità montana, Regione) che non di rado determinano azioni di accanimento nei confronti di ciò che dovrebbe rientrare nell’autonomia decisionale della comunità interessata;

– l’incapacità di produrre strumenti coerenti e non sovrapposti di pianificazione di area vasta.

L’urbanistica ha bisogno di tempi certi per la redazione dei piani, per la valutazione democratica di osservazioni e opposizioni, per le approvazioni. Scaduti i tempi fisiologici occorre che siano attivati automaticamente processi sostitutivi, nel pieno rispetto del principio di sussidiarietà. Occorre inoltre che le procedure di approvazione siano tutte raggruppate in un unico procedimento, nella forma della conferenza di servizi.

 

I meccanismi di controllo

 

Nella Campania si è manifestata più che altrove, la pesantezza del doppio sistema di controllo della qualità degli interventi di trasformazione del territorio. Un doppio sistema che prevede l’azione contemporanea di organismi statali e regionali deputati ad esercitare azione tutoria sugli interventi pubblici e privati. Un doppio sistema che diventa triplo nelle aree protette e quadruplo o quintuplo quando si considerino gli organismi che presiedono alle diverse forme della pianificazione territoriale specialistica (Autorità di Bacino, Genio Civile, Forestale, ecc.). Un doppio sistema che costa il doppio o il triplo al contribuente senza garantire affatto la qualità dello sviluppo.

Che tuttavia continua ad essere "ideologicamente" giustificato proprio dalla ridicola interpretazione della gestione dei poteri di controllo assunta da questa Regione con la costituzione delle commissioni edilizie comunali integrate.

Una Regione che esercita il potere delegato dallo Stato sulla tutela dei valori paesistici in maniera autorevole ed efficace, rende assai meno significativa e assai meno sostenibile la presenza occhiuta, e a sua volta normalmente inefficace delle Soprintendenze.

L’approvazione dei piani territoriali di coordinamento, che sono piani paesistici, ma non più a pelle di leopardo, è motivo di acquisizione di efficacia ed autorevolezza da parte della Regione.

 

Il doppio binario

 

La necessità di un approccio ampio ed evoluto alla problematica della pianificazione urbanistica, nel solco aperto dal dibattito e dalle recenti proposte di legge nazionale, non impedisce che contestualmente si operi per una modifica urgente di alcune norme della legislazione preesistente, in particolare della legge regionale 14/1982, al fine di colmare evidenti lacune procedurali e di ridare comunque impulso ad una azione di pianificazione a scala comunale sostanzialmente bloccata da lungo tempo.

Le azioni principali riguardano:

– procedure di approvazione dei piani territoriali di coordinamento provinciali;

– normazione dei cambi di destinazione e d’uso;

– unificazione delle procedure di rilascio delle singole concessioni attraverso l’estensione e specificazione della procedura della conferenza di servizi.

 

 

 

 

 

 

1 Cfr. Luigi Scano: Il governo pubblico del territorio e la qualità sociale. Atti del convegno "Crisi della pianificazione o crisi dei pubblici poteri?" – Eboli, 14 ottobre 2000.

2 Amartya Sen: Lo sviluppo è libertà – Milano, 2000

3 Luigi Scano: Il governo pubblico del territorio e la qualità sociale. Atti del convegno "Crisi della pianificazione o crisi dei pubblici poteri?" – Eboli, 14 ottobre 2000.

 

 

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