Numero 1/2 - 2000

 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Un piano urbanistico territoriale che regoli i processi ancor prima dei risultati


Bruno Fiorentino


La tutela del territorio, in Campania, non è all’anno zero, ma si deve basare, nell’opinione di Bruno Fiorentino, coordinatore della redazione della "bozza di transito per il preliminare di PUT", sulle politiche di tutela già operanti, adattandole a nuove e più evolute esigenze. Il motore del nuovo strumento regionale sarà costituito da funzioni "adattative" in grado di determinare soluzioni soddisfacenti anche quando non previste in quanto non ipotizzabili all’inizio del processo di pianificazione

 

 

 

 

 

Il piano urbanistico territoriale della Regione, si chiama così nell’art. 1bis della legge "Galasso" e, per avere l’efficacia giuridica di sollevare il regime inibitorio transitorio nelle aree perimetrate con i relativi decreti, la Regione deve adottarlo con quel titolo.

Ma, alla luce della legge sulle autonomie locali, tale piano non può avere i contenuti di assetto che appartengono al piano della Provincia. Meglio sarebbe chiamarlo piano direttore o piano di indirizzo. Un piano che, nei confronti del paesaggio, deve contenere norme di tutela, ma, nei confronti dell’assetto, non può andare oltre al quadro di riferimento, che è statico, e al quadro strategico generale, che è evolutivo.

Questo significa scrivere norme di tutela, tenendo in conto i piani paesistici già pubblicati, e regole di indirizzo. Ne discende un documento di correttivi, di aggiornamenti normativi, visto che non si parte da zero, come corpo di nome essenziali (risparmiare il suolo, eliminare i rischi, ridurre la vulnerabilità, non danneggiare il patrimonio, recuperare le coste, disinquinare i fiumi, eliminare i detrattori e le fonti di danno come le discariche, le cave abusive e l’eccesso di pressione, ecc.) e norme evolutive, che contengano quei meccanismi di concertazione in grado di regolarsi nel tempo.

Questo apre l’orizzonte del piano su uno spazio di comunicazione che serve, lungo il percorso, ad aggiornarlo senza dover rifare tutto daccapo. Il piano deve contenere una funzione adattativa, secondo metri e gradi che non stravolgano quel corpo essenziale che abbiamo detto costruito sulla tutela.

La complessità può essere una risorsa se ci muniamo degli strumenti adatti a maneggiarla. In azioni strategiche la scelta degli obiettivi è sempre riduttiva, perché subordina un sistema complesso e caotico, a uno o a pochi aspetti ordinati tra i tanti possibili.

La cosa ha poco di scientifico e molto della contingenza. Le analisi e gli studi sul suolo possono essere altamente scientifici, ma un programma, come espressione strategica di operatori economici, è una scrittura su base psicologica della politica amministrativa.

Vale a dire che é qualcosa in parte indefinita dove importano le dominanti o prevalenze. E, allora, la norma o regola, per funzionare, deve guardare agli aspetti relazionali e relativistici, e deve poter regolare i processi, più che i risultati. O, meglio, deve fissare i minimi e i massimi, le porte attraverso le quali guidare i rapporti relazionali, le misure o i parametri o indicatori per valutare gli effetti delle decisioni.

Si ammette, quindi, la funzione di monitoraggio in corso d’opera, o in corso di costruzione del consenso intorno alle scelte, laddove il relativismo ammissibile fa acquistare importanza a un punto rispetto a un altro a seconda dei valori attribuibili ai parametri di riferimento.

La cosa è banale perché si tratta di interessi in gioco, come generalmente si assume oggi nei processi di mercato. Ma la pubblica amministrazione o, meglio, l’istituzione pubblica, non è un semplice contraente o attore di mercato. È il caso di ricordarlo: l’istituzione ha doveri sociali che ne costituiscono il fondamento giuidico.

Chi attribuisce valori deve sapere che vanno riferiti a regole che, per quanto condivise, su determinati valori sono inderogabili. Il piano, allora, assume duplice valenza: circoscrive e restringe comportamenti di pubblico governo, orienta e indirizza il mercato sul territorio.

A questo punto il discorso assume maggiore complessità. La norma è laconica, il piano deve essere comunicativo e interattivo. Quindi il piano non è fatto esclusivamente di norme prescrittive - può ammettere margini di indeterminatezza se contiene i meccanismi per superarli nel tempo - cosa ovvia nei processi dove alcune componenti o fattori sono incerti all’inizio.

Si afferma il principio di adattabilità o, se si vuole, la necessità adattativa. La cosa è diversa dalla vecchia pratica della variante di piano. Perché la variante di piano è un nuovo piano, spesso per un’area circoscritta, nei termini frequenti di variazione dello zoning. Il piano regionale non traccia zoning se non detta assetti. Individua risorse, tutela il patrimonio, considera processi, regola procedure e comunica modi di comportamento per successivi adattamenti.

Ma se mancasse la strategia economica, se non ci fosse il contenuto dello sviluppo (di qualità e di grandezze, di implementazione e di innovazione), nel rispetto della sostenibilità da misurare, mancherebbe l’indirizzo politico.

Il piano si ridurrebbe a mere proposizioni fisiche, come e dove si può trasformare senza far danno, come e dove e in quale misura sia sostenibile intervenire, con quali tecniche e quanti mezzi. In senso riduttivo il piano sarebbe un catalogo delle possibilità e dei divieti, di raccomandazioni prudenti contro gli eccessi e di richiami all’igiene ambientale.

Ma un piano che regoli altezze e volumi, lunghezze e distanze, è un piano ridotto alla scala edilizia, un piano debole come debole è in economia il ciclo edilizio estraneo ai cicli strutturali dello sviluppo che produca ricchezza.

Un piano di governo deve riferirsi, deve procedere in coerenza con gli strumenti dell’economia che attivino produzione di ricchezza. Il piano urbanistico territoriale, o di indirizzo e di orientamento territoriale, e anche il piano di tutela dei beni, non vive da solo e non produce effetti benefici se non si dà conto di dover essere un piano che organizza risorse territoriali. Se non si dà conto di dover essere un piano di politica dei beni culturali, di politica dei beni ambientali, un piano ecologico ed economico insieme.

Questa concezione non sottrae spazi ai settori produttivi, che fanno i loro piani, non entra in merito della gestione dell’agricoltura, delle acque, della ricettività turistica, delle aree e distretti industriali, della sanità, e così via, ma, al contrario, aggiunge valore nel porre le risorse ambientali accanto alle altre. Aiuta a stabilire la concertazione di interessi pubblici di rilevanza territoriale.

La strategia di interesse regionale andrà a muoversi lungo programmi coordinati di azioni in aree speciali come ambiti di programmi integrati o di patti territoriali, dove due o più settori produttivi contribuiscono allo sviluppo. Questo è il taglio.

Entrando in merito, laddove il piano dice quali siano gli ambiti non urbanizzabili, ad esempio riserve naturalistiche, il suolo va sottoposto a regime immobiliare unitario. Questa è una norma di tipo essenziale. Laddove siano riconoscibili ambiti urbanizzabili, di riqualificazione ad esempio, vengono collocati nella gestione della pianificazione locale, e il suolo va sottoposto a regime immobiliare perequativo.

Vi saranno degli indicatori di controllo in grado di orientare le amministrazioni locali che devono sapere come agire sugli aspetti legali tributari delle transazioni tra pubblico e privato.

Gli indicatori sono commisurati alla stima dei valori di trasformazione.

Il piano regionale non entra in questi dettagli, che vanno affidati ad altri strumenti, ma ne indirizza gli Enti locali. La Regione, comunque, dovrà instaurare un dialogo continuo con i Comuni, e questo si fa con mezzo interattivo, portando gradualmente il piano nello spazio di relazione necessario anche al principio di sussidiarietà.

Vale a dire una rete on-line che collega gli uffici tecnici. La formazione di piani locali, o la proposta di piani da parte privata implica forme di intese e di convenzioni. La concertazione deve avere chiaro il regime corrispondente alle classi di suolo sulle quali si intende operare.

Per questo il programma integrato e le procedure di valutazione assumeranno la funzione di strumenti fondamentali.

I sistemi complessi non sono riducibili a modelli compiuti. Vi saranno sempre gradi di incertezza che si possono chiarire o definire durante il processo. Ogni volta vanno individuati tipi e quantità dei processori in gioco, in funzione delle prestazioni richieste dagli scopi o obiettivi che si intendono raggiungere. Quando il numero dei processori è finito il sistema è chiuso, ma questo avviene in sede esecutiva di un progetto, quando lo scopo è raggiunto.

Prima di tutto questo, e per consentire processi corretti, viene il PUT regionale che, quindi, è anche una struttura. (frame work) dotata di razionalità procedurale, che non pretende affermare verità, ma una ragionevole approssimazione dove funziona meglio il termine viabile. Le opzioni per la tutela e la valorizzazione delle risorse ambientali sono, coerentemente, quelle espresse nel POR Campania. Le opzioni per lo sviluppo, sono quelle che emergono dai documenti ufficiali di politica economica e produttiva.

La programmazione regionale sta definendo le politiche strutturali per accrescere l’efficienza economica del sistema produttivo e l’efficienza sociale ed economica del mercato del lavoro. Per questo il PUT deve riservare delle porte, vale a dire quella funzione adattativa che non obblighi a riscrivere tutto di fronte a una variabile strutturale che potrebbe emergere più avanti.

 

 

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