SENTENZA N. 378
ANNO 2000
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL
POPOLO ITALIANO
LA CORTE
COSTITUZIONALE
omissis
ha pronunciato la
seguente
SENTENZA
omissis
Considerato in
diritto
1. Le
questioni di legittimità
costituzionale, sottoposte in via
incidentale all’esame della Corte,
riguardano il combinato disposto
degli artt. 5, terzo comma, e 6,
secondo comma, della legge della
Regione Emilia-Romagna 7 dicembre
1978, n. 47 (Tutela ed uso del
territorio) nel testo introdotto
dalla legge regionale 29 marzo 1980,
n. 23 (Norme per l’acceleramento
delle procedure relative agli
strumenti urbanistici, nonché norme
modificative ed integrative delle
leggi regionali 31 gennaio 1975, n.
12, 24 marzo 1975, n. 18, 12 gennaio
1978, n. 2, 2 maggio 1978, n. 13,
1° agosto 1978, n. 26, 7 dicembre
1978, n. 47 e 13 marzo 1979, n. 7)
nella parte in cui prevede che le
previsioni e le prescrizioni
contenute nei piani territoriali
stralcio (ed in particolare nel
piano territoriale paesistico
regionale), che comportino vincoli
di carattere generale o particolare,
sono immediatamente precettive nei
confronti di chiunque e prevalgono
sulle diverse destinazioni d’uso
contenute negli strumenti
urbanistici vigenti o adottati,
nonché gli artt. 15 della legge
regionale 5 settembre 1988, n. 36
(Disposizioni in materia di
programmazione e pianificazione
territoriale), e 55 della predetta
legge regionale n. 47 del 1978,
nella parte in cui rispettivamente
prevedono l’applicazione delle
misure di salvaguardia sulla domanda
di rilascio di concessione edilizia
quale conseguenza dell’adozione
dei predetti piani e la protrazione
in regime transitorio dei predetti
effetti. È denunciata la violazione
dell’art. 117 della Costituzione,
per contrasto con i principi
fondamentali in materia stabiliti
dalla legge quadro statale n. 1150
del 1942, e dell’art. 128 della
Costituzione, per lesione dell’autonomia
riservata ai comuni in materia di
pianificazione urbanistica.
2. Le
questioni non sono fondate
Preliminarmente,
sulla base della precedente sentenza
n. 327 del 1990, deve essere
precisata la natura del piano
territoriale paesistico regionale (PTPR),
in base al quale è stata applicata
la contestata misura di
salvaguardia, ed il potere conferito
dalle leggi statali e regionali alla
regione di approvazione del piano
stesso, con previsione di misure di
salvaguardia.
Il PTPR della
Regione Emilia-Romagna trova il
proprio fondamento nel combinato
disposto dell’art. 82, quinto
comma, del DPR 24 luglio 1977, n.
616, nel testo integrato dal
decreto-legge 27 giugno 1985, n.
312, convertito, con modificazioni,
in legge 8 agosto 1985, n. 431, e
dell’art. 1-bis del citato
decreto-legge n. 312 del 1985,
nonché dell’art. 15 della legge
della Regione Emilia-Romagna 5
settembre 1988, n. 36 e del punto 2,
primo comma, dell’art. 4 della
legge regionale 7 dicembre 1978, n.
47.
Pertanto il
suddetto piano deve essere
ricondotto alla categoria dei
"piani urbanistici territoriali
con specifica considerazione dei
valori paesistici ed
ambientali" e specificamente
inquadrato nei "piani
territoriali stralcio relativi all’intero
territorio regionale", piani,
questi ultimi, qualificati come
"tematici", in quanto
destinati a disciplinare – ove
estesi all’intero territorio
regionale – non il complessivo
assetto urbanistico della Regione,
ma determinati settori funzionali
(sentenza n. 327 del 1990).
Il PTPR opera con
le tecniche e gli effetti propri
degli strumenti di pianificazione
urbanistica, ancorché
teleologicamente orientato verso l’obiettivo
preminente della protezione di
valori estetico-culturali (sentenze
n. 327 del 1990; n. 151 e n. 153 del
1986; v. anche sentenza n. 529 del
1995).
Ma proprio
perché il legislatore regionale, in
linea con la previsione della
legislazione statale, ha seguito la
via alternativa (al piano
paesistico) dello strumento di
pianificazione urbanistica, sia pure
anche con valenza paesistica e
ambientale, non esiste un limite
territoriale alle sole zone elencate
nel quinto comma dell’art. 82 del
DPR n. 616 del 1977 (come modificato
dal d.l. n. 312 del 1985 e dalla
legge di conversione n. 431 del
1985). Anzi gli strumenti di
pianificazione urbanistica hanno una
efficacia normalmente orientata
verso l’assetto dell’intero
territorio dell’ente investito
dello specifico potere di
pianificazione (sentenza n. 379 del
1994), di modo che, essendo nel caso
in esame un piano della Regione,
questo poteva essere configurato con
"l’estensione all’intero
territorio regionale" (art. 4,
primo comma, numero 2, della legge
della Regione Emilia-Romagna n. 47
del 1978; sentenza n. 327 del 1990).
Del resto la
tutela paesistico-ambientale svolta
attraverso uno strumento di
pianificazione urbanistica può
comportare la protezione di un
territorio ben più vasto delle aree
strettamente vincolate, per le
necessarie connessioni con le zone
contermini e per esigenze di
coinvolgimento di una sfera più
ampia. Ed infatti questa Corte ha
avuto occasione di sottolineare che
la protezione preordinata dalla
legge n. 431 del 1985, sia pure
"minimale", non esclude
né preclude "normative
regionali di maggiore o pari
efficienza" (sentenze n. 379
del 1994; n. 327 del 1990; n. 151
del 1986), soprattutto quando vi
siano esigenze di una valutazione
complessiva (e più ampia) dei
valori sottesi alla disciplina dell’assetto
urbanistico.
3. Il PTPR,
inquadrato nella categoria dei
"piani territoriali
stralcio", deve avere gli
effetti tipici, che la legislazione
regionale prevede per questo tipo di
piani. Quindi questi piani possono
essere configurati per produrre non
solo gli effetti propri di un piano
territoriale di coordinamento
urbanistico, destinato ad orientare
e condizionare (con direttive) l’azione
dei soggetti pubblici investiti di
competenze di pianificazione
urbanistica (ed in primo luogo i
comuni per la pianificazione del
loro territorio). Infatti, per la
parte contenente previsioni e
prescrizioni comportanti vincoli di
carattere generale o particolare –
conformi alle specifica
"tematica", come sopra
sottolineato –, detti piani hanno
una immediata operatività
vincolante per i soggetti privati
(sentenza n. 327 del 1990), con
efficacia impeditiva e paralizzante
di qualsiasi intervento edificatorio
difforme, e quindi possono contenere
imposizioni anche immediatamente
vincolanti a difesa dei valori
paesistici ed ambientali (sentenza
n. 529 del 1995).
L’impostazione
dell’ordinanza di rimessione muove
da una concezione dei piani
territoriali ormai superata ed
ancorata al sistema inizialmente
descritto nella legge urbanistica 17
agosto 1942, n. 1150: essa era
imperniata sulla divisione delle
funzioni di pianificazione tra Stato
e comuni e configurava il piano
territoriale di coordinamento come
semplice piano di direttive,
operante nei confronti della
pianificazione a livello comunale,
quale mero strumento di indirizzo e
di orientamento generale ed avente
funzione di esplicazione del potere
di controllo. Di conseguenza, nei
confronti del proprietario di un
suolo, i vincoli e le prescrizioni
urbanistiche obbligatorie potevano
sorgere solo con l’entrata in
vigore dello strumento di
pianificazione a livello comunale
(piano regolatore generale).
Anche a non
considerare la scarsa incisività
del sistema dell’epoca (1942),
caratterizzato dalla pressoché
totale inutilizzazione dello
strumento di coordinamento e da una
modesta pianificazione urbanistica,
questo modello di regolazione del
territorio deve intendersi ormai
sostituito da un sistema di
pianificazione diretto soprattutto
all’efficacia dei vincoli. Esso
privilegia il livello più idoneo di
pianificazione nella protezione di
alcuni assetti territoriali ed
ambientali individuati. Si registra,
invero, nella legislazione statale
la sopravvenienza di una serie di
istituti anticipatori e di
salvaguardia delle prescrizioni
programmatiche intese ad evitare l’utilizzazione
selvaggia del territorio, mediante
il riconoscimento di effetti
anticipati con l’adozione dei
piani, rispetto alla stessa
pianificazione definitiva ed al
perfezionamento dei vincoli (vedi l’evoluzione
delle norme di salvaguardia,
trasposte nel campo urbanistico
dapprima facoltativamente, poi in
modo obbligatorio, ed i diversi
espedienti normativi volti a
comprimere le facoltà di
utilizzazione edilizia, in mancanza
di una pianificazione o di sistemi
di blocco di opere edilizie, salvo
interventi di manutenzione,
adoperati soprattutto in presenza di
preminenti interessi
estetico-culturali ed ambientali da
tutelare).
Ma soprattutto il
sopravvenire delle regioni, con le
competenze legislative ed
amministrative in materia
urbanistica garantite dall’art.
117 della Costituzione, e gli
interventi legislativi regionali
hanno consentito una più ampia
esplicazione degli anzidetti
principi della legislazione statale,
che si sono sovrapposti alla legge
urbanistica del 1942, provocandone
una modificazione sostanziale.
Di conseguenza
deve escludersi la violazione
denunciata dell’art. 117 della
Costituzione.
4. Egualmente
privo di fondamento è il profilo di
incostituzionalità connesso alla
dedotta lesione dell’autonomia
comunale in materia di
programmazione urbanistica, con
richiamo all’art. 128 della
Costituzione.
Questa Corte ha
avuto occasione, anche di recente,
di sottolineare che gli artt. 5 e
128 della Costituzione presuppongono
una posizione di autonomia dei
comuni, che le leggi regionali non
possono mai comprimere fino a
negarla (sentenze nn. 286 e 83 del
1997). Ma l’autonomia comunale non
implica una riserva intangibile di
funzioni e non esclude che il
legislatore regionale possa, nell’esercizio
della sua competenza, individuare le
dimensioni della stessa autonomia,
valutando la maggiore efficienza
della gestione a livello
sovracomunale degli interessi
coinvolti.
Ciò per quanto
riguarda la materia urbanistica in
particolare deve essere inteso nel
senso che "il potere dei comuni
di autodeterminarsi in ordine all’assetto
e alla utilizzazione del proprio
territorio non costituisce
elargizione che le regioni,
attributarie di competenza in
materia urbanistica siano libere di
compiere", in quanto l’art.
128 della Costituzione
"garantisce, con previsione di
principio, l’autonomia degli enti
infraregionali, non solo nei
confronti dello Stato, ma anche nei
rapporti con le stesse regioni"
(sentenza n. 83 del 1997).
In realtà, il
rispetto delle autonomie comunali
deve armonizzarsi con la verifica e
la protezione di concorrenti
interessi generali, collegati ad una
valutazione più ampia delle
esigenze diffuse nel territorio:
ciò giustifica l’eventuale
emanazione di disposizioni
legislative (statali e regionali)
che vengano ad incidere su funzioni
già assegnate agli enti locali
(sentenza n. 286 del 1997).
Nella specie
considerata del PTPR, la
giustificazione dell’intervento
legislativo a livello regionale si
rinviene nella tipologia stessa del
piano "tematico" e nella
natura delle prescrizioni e
previsioni vincolanti attinenti alla
protezione di valori
estetico-culturali ed ambientali,
interessi che esigono previsioni
programmatiche (ma anche precettive)
estese ad un ambito territoriale
più vasto ed anche con maggior
rigore e con maggiore efficienza,
rispetto alle valutazioni di ambito
comunale (vedi, per la convergenza
in materia di territorio di
rilevanti e specifici interessi,
affidati ad analitiche competenze
statali, regionali e degli enti
locali, sentenza n. 499 del 1988).
Del resto, la
pianificazione urbanistica a livello
comunale non ha carattere esaustivo
e non riassorbe, con funzione di
prevalenza, le altre forme di
pianificazione o gli altri vincoli
non urbanistici, poiché qualsiasi
intervento che modifica il
territorio non deve porsi in
contrasto con tutti gli altri
vincoli su di esso esistenti
(paesistici, culturali, di rispetto
delle ferrovie e delle autostrade,
del demanio marittimo ecc.),
ancorché la pianificazione
urbanistica comunale non escluda
tale tipo di intervento o lo
consenta. Il principio è reciproco
anche nei rapporti tra vincoli non
urbanistici e vincoli derivanti da
pianificazione urbanistica comunale.
Riguardo alla
sfera degli interessi coinvolti e
delle esigenze relative al
territorio, giova sottolineare che
la tutela del bene culturale è nel
testo costituzionale contemplata
insieme a quella del paesaggio e
dell’ambiente come espressione di
principio fondamentale unitario dell’ambito
territoriale in cui si svolge la
vita dell’uomo (sentenza n. 85 del
1998) e tali forme di tutela
costituiscono una endiadi unitaria.
Detta tutela costituisce compito
dell’intero apparato della
Repubblica, nelle sue diverse
articolazioni ed in primo luogo
dello Stato (art. 9 della
Costituzione), oltre che delle
regioni e degli enti locali.
Rispetto a dette
materie non può configurarsi né un
assorbimento nei compiti di
autogestione del territorio, come
espressione dell’autonomia
comunale, né tanto meno una
esclusività delle funzioni comunali
in forza della stessa autonomia in
campo urbanistico. Invece,
attraverso i piani urbanistici il
comune può, nella sua autonomia, in
relazione ad esigenze particolari e
locali, imporre limiti e vincoli
più rigorosi o aggiuntivi anche con
riguardo a beni vincolati a tutela
di interessi culturali ed
ambientali.
5. Il comune
ha il diritto a partecipare, in modo
effettivo e congruo, nel
procedimento di approvazione degli
strumenti urbanistici regionali che
abbiano effetti sull’assetto del
proprio territorio (sentenza n. 83
del 1997).
Sul punto le
censure mosse sono prive di
fondamento, essendo basate sull’erroneo
presupposto della mancanza di
previsione della partecipazione
necessaria dei comuni interessati,
come sarebbe comprovato dalla
presentazione di alcune osservazioni
spontanee da parte del Comune di
Rimini, in veste di mero soggetto
interessato.
Invece, in
armonia con il principio di
partecipazione dei comuni e degli
altri enti locali contenuto nell’art.
4, primo comma, della legge della
Regione Emilia-Romagna 7 dicembre
1978, n, 47, in base all’art. 5
della stessa legge n. 47 del 1978,
come novellato dalla legge regionale
29 marzo 1980, n. 23, il
procedimento di formazione ed
approvazione dei piani territoriali
prevede che, sul piano "per la
tutela e la valorizzazione dei beni
culturali ed ambientali",
vengano sentiti, tra l’altro, le
comunità montane ed il circondario
di Rimini, i comuni e le province,
che "dovranno formulare pareri
e proposte entro novanta giorni
dalla richiesta della regione".
Inoltre, dopo l’adozione del piano
da parte della Giunta regionale,
viene disposta la pubblicazione del
piano adottato, per sessanta giorni,
e quindi vi è un termine di
ulteriori trenta giorni per i
privati e gli enti interessati dalle
previsioni e destinazioni di zona,
che comportino vincoli di carattere
generale o particolare, per
presentare osservazioni ai Comitati
comprensoriali, che entro 30 giorni
le trasmettono, con il proprio
parere, alla Giunta regionale.
Trattasi quindi
di possibilità plurime di
intervento – tali da assicurare al
comune una sostanziale
partecipazione (sentenza n. 357 del
1998; n. 61 del 1994) –, con
termini congrui e cadenze
procedimentalizzate, non solo nella
fase di approvazione, ma estesa alla
formazione del piano, con facoltà
di intervento anche propositivo,
oltre che di espressione di parere,
da cui consegue un obbligo per la
regione di prendere in
considerazione i punti di vista
prospettati dal comune. Pertanto non
sussistono i vizi lamentati, essendo
congrua ed effettiva la
partecipazione di comuni
interessati, tenuto anche conto
della natura e finalità delle
prescrizioni per una tutela
ambientale e culturale.
6. Le
anzidette considerazioni in ordine
alla natura e agli obiettivi di
tutela estetico-culturali ed
ambientali del PTPR escludono che
abbia qualsiasi rilevanza la mancata
fissazione di un limite massimo di
durata del vincolo, in relazione
alla previsione dell’art. 2 della
legge n. 1187 del 1968.
Infatti, si è al
di fuori dei vincoli urbanistici,
ancorché le prescrizioni
immediatamente precettive siano
incluse in strumento avente
carattere misto (urbanistico e di
tutela culturale-ambientale), e si
è in presenza di previsioni che non
sono preordinate all’espropriazione
e non comportano una
inedificabilità assoluta, ma solo
il mantenimento di costruzioni
esistenti, oggetto di apposita
valutazione per la tutela di un
interesse estetico-culturale
rilevante.
I beni, oggetto
della contestazione, soggetti al
vincolo di tutela delle cose di
interesse artistico e storico di cui
alla legge 1° giugno 1939, n. 1089,
comprendono fabbricati e terreni
annessi (che includono anche una
striscia di demanio marittimo lungo
la spiaggia); sono ad una distanza
assai ravvicinata dalla battigia e
perciò rientrano nella previsione
del quinto comma, lettera a)
e del sesto comma del vigente art.
82 del DPR 24 luglio 1977, n. 616;
comprendono anche una porzione di
superficie di demanio marittimo;
costituiscono (dal 1911) l’Ospizio
marino provinciale bolognese,
intitolato poi ad Augusto Murri;
fanno parte del "complesso
delle colonie marine" e del
"patrimonio delle colonie"
del Comune di Rimini, caso unico del
litorale romagnolo.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE
COSTITUZIONALE
dichiara non
fondate le questioni di legittimità
costituzionale ...
omissis