Numero 1/2 - 2000

 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Roberto Gerundo


Appare interessante riportare le considerazioni di diritto che la Corte Costituzionale ha recentemente formulato sulla legislazione urbanistica dell’Emilia Romagna, relativamente alla parte in cui prevede che le previsioni e le prescrizioni contenute nei piani territoriali, che comportino vincoli di carattere generale o particolare, sono immediatamente precettive nei confronti di chiunque e prevalgono sulle diverse destinazioni d’uso contenute negli strumenti urbanistici vigenti o adottati

 

 

 

 

 

 

SENTENZA N. 378

ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

omissis

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

omissis

 

Considerato in diritto

1. Le questioni di legittimità costituzionale, sottoposte in via incidentale all’esame della Corte, riguardano il combinato disposto degli artt. 5, terzo comma, e 6, secondo comma, della legge della Regione Emilia-Romagna 7 dicembre 1978, n. 47 (Tutela ed uso del territorio) nel testo introdotto dalla legge regionale 29 marzo 1980, n. 23 (Norme per l’acceleramento delle procedure relative agli strumenti urbanistici, nonché norme modificative ed integrative delle leggi regionali 31 gennaio 1975, n. 12, 24 marzo 1975, n. 18, 12 gennaio 1978, n. 2, 2 maggio 1978, n. 13, 1° agosto 1978, n. 26, 7 dicembre 1978, n. 47 e 13 marzo 1979, n. 7) nella parte in cui prevede che le previsioni e le prescrizioni contenute nei piani territoriali stralcio (ed in particolare nel piano territoriale paesistico regionale), che comportino vincoli di carattere generale o particolare, sono immediatamente precettive nei confronti di chiunque e prevalgono sulle diverse destinazioni d’uso contenute negli strumenti urbanistici vigenti o adottati, nonché gli artt. 15 della legge regionale 5 settembre 1988, n. 36 (Disposizioni in materia di programmazione e pianificazione territoriale), e 55 della predetta legge regionale n. 47 del 1978, nella parte in cui rispettivamente prevedono l’applicazione delle misure di salvaguardia sulla domanda di rilascio di concessione edilizia quale conseguenza dell’adozione dei predetti piani e la protrazione in regime transitorio dei predetti effetti. È denunciata la violazione dell’art. 117 della Costituzione, per contrasto con i principi fondamentali in materia stabiliti dalla legge quadro statale n. 1150 del 1942, e dell’art. 128 della Costituzione, per lesione dell’autonomia riservata ai comuni in materia di pianificazione urbanistica.

2. Le questioni non sono fondate

Preliminarmente, sulla base della precedente sentenza n. 327 del 1990, deve essere precisata la natura del piano territoriale paesistico regionale (PTPR), in base al quale è stata applicata la contestata misura di salvaguardia, ed il potere conferito dalle leggi statali e regionali alla regione di approvazione del piano stesso, con previsione di misure di salvaguardia.

Il PTPR della Regione Emilia-Romagna trova il proprio fondamento nel combinato disposto dell’art. 82, quinto comma, del DPR 24 luglio 1977, n. 616, nel testo integrato dal decreto-legge 27 giugno 1985, n. 312, convertito, con modificazioni, in legge 8 agosto 1985, n. 431, e dell’art. 1-bis del citato decreto-legge n. 312 del 1985, nonché dell’art. 15 della legge della Regione Emilia-Romagna 5 settembre 1988, n. 36 e del punto 2, primo comma, dell’art. 4 della legge regionale 7 dicembre 1978, n. 47.

Pertanto il suddetto piano deve essere ricondotto alla categoria dei "piani urbanistici territoriali con specifica considerazione dei valori paesistici ed ambientali" e specificamente inquadrato nei "piani territoriali stralcio relativi all’intero territorio regionale", piani, questi ultimi, qualificati come "tematici", in quanto destinati a disciplinare – ove estesi all’intero territorio regionale – non il complessivo assetto urbanistico della Regione, ma determinati settori funzionali (sentenza n. 327 del 1990).

Il PTPR opera con le tecniche e gli effetti propri degli strumenti di pianificazione urbanistica, ancorché teleologicamente orientato verso l’obiettivo preminente della protezione di valori estetico-culturali (sentenze n. 327 del 1990; n. 151 e n. 153 del 1986; v. anche sentenza n. 529 del 1995).

Ma proprio perché il legislatore regionale, in linea con la previsione della legislazione statale, ha seguito la via alternativa (al piano paesistico) dello strumento di pianificazione urbanistica, sia pure anche con valenza paesistica e ambientale, non esiste un limite territoriale alle sole zone elencate nel quinto comma dell’art. 82 del DPR n. 616 del 1977 (come modificato dal d.l. n. 312 del 1985 e dalla legge di conversione n. 431 del 1985). Anzi gli strumenti di pianificazione urbanistica hanno una efficacia normalmente orientata verso l’assetto dell’intero territorio dell’ente investito dello specifico potere di pianificazione (sentenza n. 379 del 1994), di modo che, essendo nel caso in esame un piano della Regione, questo poteva essere configurato con "l’estensione all’intero territorio regionale" (art. 4, primo comma, numero 2, della legge della Regione Emilia-Romagna n. 47 del 1978; sentenza n. 327 del 1990).

Del resto la tutela paesistico-ambientale svolta attraverso uno strumento di pianificazione urbanistica può comportare la protezione di un territorio ben più vasto delle aree strettamente vincolate, per le necessarie connessioni con le zone contermini e per esigenze di coinvolgimento di una sfera più ampia. Ed infatti questa Corte ha avuto occasione di sottolineare che la protezione preordinata dalla legge n. 431 del 1985, sia pure "minimale", non esclude né preclude "normative regionali di maggiore o pari efficienza" (sentenze n. 379 del 1994; n. 327 del 1990; n. 151 del 1986), soprattutto quando vi siano esigenze di una valutazione complessiva (e più ampia) dei valori sottesi alla disciplina dell’assetto urbanistico.

3. Il PTPR, inquadrato nella categoria dei "piani territoriali stralcio", deve avere gli effetti tipici, che la legislazione regionale prevede per questo tipo di piani. Quindi questi piani possono essere configurati per produrre non solo gli effetti propri di un piano territoriale di coordinamento urbanistico, destinato ad orientare e condizionare (con direttive) l’azione dei soggetti pubblici investiti di competenze di pianificazione urbanistica (ed in primo luogo i comuni per la pianificazione del loro territorio). Infatti, per la parte contenente previsioni e prescrizioni comportanti vincoli di carattere generale o particolare – conformi alle specifica "tematica", come sopra sottolineato –, detti piani hanno una immediata operatività vincolante per i soggetti privati (sentenza n. 327 del 1990), con efficacia impeditiva e paralizzante di qualsiasi intervento edificatorio difforme, e quindi possono contenere imposizioni anche immediatamente vincolanti a difesa dei valori paesistici ed ambientali (sentenza n. 529 del 1995).

L’impostazione dell’ordinanza di rimessione muove da una concezione dei piani territoriali ormai superata ed ancorata al sistema inizialmente descritto nella legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150: essa era imperniata sulla divisione delle funzioni di pianificazione tra Stato e comuni e configurava il piano territoriale di coordinamento come semplice piano di direttive, operante nei confronti della pianificazione a livello comunale, quale mero strumento di indirizzo e di orientamento generale ed avente funzione di esplicazione del potere di controllo. Di conseguenza, nei confronti del proprietario di un suolo, i vincoli e le prescrizioni urbanistiche obbligatorie potevano sorgere solo con l’entrata in vigore dello strumento di pianificazione a livello comunale (piano regolatore generale).

Anche a non considerare la scarsa incisività del sistema dell’epoca (1942), caratterizzato dalla pressoché totale inutilizzazione dello strumento di coordinamento e da una modesta pianificazione urbanistica, questo modello di regolazione del territorio deve intendersi ormai sostituito da un sistema di pianificazione diretto soprattutto all’efficacia dei vincoli. Esso privilegia il livello più idoneo di pianificazione nella protezione di alcuni assetti territoriali ed ambientali individuati. Si registra, invero, nella legislazione statale la sopravvenienza di una serie di istituti anticipatori e di salvaguardia delle prescrizioni programmatiche intese ad evitare l’utilizzazione selvaggia del territorio, mediante il riconoscimento di effetti anticipati con l’adozione dei piani, rispetto alla stessa pianificazione definitiva ed al perfezionamento dei vincoli (vedi l’evoluzione delle norme di salvaguardia, trasposte nel campo urbanistico dapprima facoltativamente, poi in modo obbligatorio, ed i diversi espedienti normativi volti a comprimere le facoltà di utilizzazione edilizia, in mancanza di una pianificazione o di sistemi di blocco di opere edilizie, salvo interventi di manutenzione, adoperati soprattutto in presenza di preminenti interessi estetico-culturali ed ambientali da tutelare).

Ma soprattutto il sopravvenire delle regioni, con le competenze legislative ed amministrative in materia urbanistica garantite dall’art. 117 della Costituzione, e gli interventi legislativi regionali hanno consentito una più ampia esplicazione degli anzidetti principi della legislazione statale, che si sono sovrapposti alla legge urbanistica del 1942, provocandone una modificazione sostanziale.

Di conseguenza deve escludersi la violazione denunciata dell’art. 117 della Costituzione.

4. Egualmente privo di fondamento è il profilo di incostituzionalità connesso alla dedotta lesione dell’autonomia comunale in materia di programmazione urbanistica, con richiamo all’art. 128 della Costituzione.

Questa Corte ha avuto occasione, anche di recente, di sottolineare che gli artt. 5 e 128 della Costituzione presuppongono una posizione di autonomia dei comuni, che le leggi regionali non possono mai comprimere fino a negarla (sentenze nn. 286 e 83 del 1997). Ma l’autonomia comunale non implica una riserva intangibile di funzioni e non esclude che il legislatore regionale possa, nell’esercizio della sua competenza, individuare le dimensioni della stessa autonomia, valutando la maggiore efficienza della gestione a livello sovracomunale degli interessi coinvolti.

Ciò per quanto riguarda la materia urbanistica in particolare deve essere inteso nel senso che "il potere dei comuni di autodeterminarsi in ordine all’assetto e alla utilizzazione del proprio territorio non costituisce elargizione che le regioni, attributarie di competenza in materia urbanistica siano libere di compiere", in quanto l’art. 128 della Costituzione "garantisce, con previsione di principio, l’autonomia degli enti infraregionali, non solo nei confronti dello Stato, ma anche nei rapporti con le stesse regioni" (sentenza n. 83 del 1997).

In realtà, il rispetto delle autonomie comunali deve armonizzarsi con la verifica e la protezione di concorrenti interessi generali, collegati ad una valutazione più ampia delle esigenze diffuse nel territorio: ciò giustifica l’eventuale emanazione di disposizioni legislative (statali e regionali) che vengano ad incidere su funzioni già assegnate agli enti locali (sentenza n. 286 del 1997).

Nella specie considerata del PTPR, la giustificazione dell’intervento legislativo a livello regionale si rinviene nella tipologia stessa del piano "tematico" e nella natura delle prescrizioni e previsioni vincolanti attinenti alla protezione di valori estetico-culturali ed ambientali, interessi che esigono previsioni programmatiche (ma anche precettive) estese ad un ambito territoriale più vasto ed anche con maggior rigore e con maggiore efficienza, rispetto alle valutazioni di ambito comunale (vedi, per la convergenza in materia di territorio di rilevanti e specifici interessi, affidati ad analitiche competenze statali, regionali e degli enti locali, sentenza n. 499 del 1988).

Del resto, la pianificazione urbanistica a livello comunale non ha carattere esaustivo e non riassorbe, con funzione di prevalenza, le altre forme di pianificazione o gli altri vincoli non urbanistici, poiché qualsiasi intervento che modifica il territorio non deve porsi in contrasto con tutti gli altri vincoli su di esso esistenti (paesistici, culturali, di rispetto delle ferrovie e delle autostrade, del demanio marittimo ecc.), ancorché la pianificazione urbanistica comunale non escluda tale tipo di intervento o lo consenta. Il principio è reciproco anche nei rapporti tra vincoli non urbanistici e vincoli derivanti da pianificazione urbanistica comunale.

Riguardo alla sfera degli interessi coinvolti e delle esigenze relative al territorio, giova sottolineare che la tutela del bene culturale è nel testo costituzionale contemplata insieme a quella del paesaggio e dell’ambiente come espressione di principio fondamentale unitario dell’ambito territoriale in cui si svolge la vita dell’uomo (sentenza n. 85 del 1998) e tali forme di tutela costituiscono una endiadi unitaria. Detta tutela costituisce compito dell’intero apparato della Repubblica, nelle sue diverse articolazioni ed in primo luogo dello Stato (art. 9 della Costituzione), oltre che delle regioni e degli enti locali.

Rispetto a dette materie non può configurarsi né un assorbimento nei compiti di autogestione del territorio, come espressione dell’autonomia comunale, né tanto meno una esclusività delle funzioni comunali in forza della stessa autonomia in campo urbanistico. Invece, attraverso i piani urbanistici il comune può, nella sua autonomia, in relazione ad esigenze particolari e locali, imporre limiti e vincoli più rigorosi o aggiuntivi anche con riguardo a beni vincolati a tutela di interessi culturali ed ambientali.

5. Il comune ha il diritto a partecipare, in modo effettivo e congruo, nel procedimento di approvazione degli strumenti urbanistici regionali che abbiano effetti sull’assetto del proprio territorio (sentenza n. 83 del 1997).

Sul punto le censure mosse sono prive di fondamento, essendo basate sull’erroneo presupposto della mancanza di previsione della partecipazione necessaria dei comuni interessati, come sarebbe comprovato dalla presentazione di alcune osservazioni spontanee da parte del Comune di Rimini, in veste di mero soggetto interessato.

Invece, in armonia con il principio di partecipazione dei comuni e degli altri enti locali contenuto nell’art. 4, primo comma, della legge della Regione Emilia-Romagna 7 dicembre 1978, n, 47, in base all’art. 5 della stessa legge n. 47 del 1978, come novellato dalla legge regionale 29 marzo 1980, n. 23, il procedimento di formazione ed approvazione dei piani territoriali prevede che, sul piano "per la tutela e la valorizzazione dei beni culturali ed ambientali", vengano sentiti, tra l’altro, le comunità montane ed il circondario di Rimini, i comuni e le province, che "dovranno formulare pareri e proposte entro novanta giorni dalla richiesta della regione". Inoltre, dopo l’adozione del piano da parte della Giunta regionale, viene disposta la pubblicazione del piano adottato, per sessanta giorni, e quindi vi è un termine di ulteriori trenta giorni per i privati e gli enti interessati dalle previsioni e destinazioni di zona, che comportino vincoli di carattere generale o particolare, per presentare osservazioni ai Comitati comprensoriali, che entro 30 giorni le trasmettono, con il proprio parere, alla Giunta regionale.

Trattasi quindi di possibilità plurime di intervento – tali da assicurare al comune una sostanziale partecipazione (sentenza n. 357 del 1998; n. 61 del 1994) –, con termini congrui e cadenze procedimentalizzate, non solo nella fase di approvazione, ma estesa alla formazione del piano, con facoltà di intervento anche propositivo, oltre che di espressione di parere, da cui consegue un obbligo per la regione di prendere in considerazione i punti di vista prospettati dal comune. Pertanto non sussistono i vizi lamentati, essendo congrua ed effettiva la partecipazione di comuni interessati, tenuto anche conto della natura e finalità delle prescrizioni per una tutela ambientale e culturale.

6. Le anzidette considerazioni in ordine alla natura e agli obiettivi di tutela estetico-culturali ed ambientali del PTPR escludono che abbia qualsiasi rilevanza la mancata fissazione di un limite massimo di durata del vincolo, in relazione alla previsione dell’art. 2 della legge n. 1187 del 1968.

Infatti, si è al di fuori dei vincoli urbanistici, ancorché le prescrizioni immediatamente precettive siano incluse in strumento avente carattere misto (urbanistico e di tutela culturale-ambientale), e si è in presenza di previsioni che non sono preordinate all’espropriazione e non comportano una inedificabilità assoluta, ma solo il mantenimento di costruzioni esistenti, oggetto di apposita valutazione per la tutela di un interesse estetico-culturale rilevante.

I beni, oggetto della contestazione, soggetti al vincolo di tutela delle cose di interesse artistico e storico di cui alla legge 1° giugno 1939, n. 1089, comprendono fabbricati e terreni annessi (che includono anche una striscia di demanio marittimo lungo la spiaggia); sono ad una distanza assai ravvicinata dalla battigia e perciò rientrano nella previsione del quinto comma, lettera a) e del sesto comma del vigente art. 82 del DPR 24 luglio 1977, n. 616; comprendono anche una porzione di superficie di demanio marittimo; costituiscono (dal 1911) l’Ospizio marino provinciale bolognese, intitolato poi ad Augusto Murri; fanno parte del "complesso delle colonie marine" e del "patrimonio delle colonie" del Comune di Rimini, caso unico del litorale romagnolo.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale ...

omissis

 

 

 

Fonte: Regione Emilia-Romagna, Rapporto sullo stato della pianificazione urbanistica in Emilia-Romagna, 1999, Bologna

 

 

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