Numero 6/7 - 2003

 

la questione paesistica 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

I beni paesistici nella riforma del Titolo V della Costituzione


Emanuela Abis


 

L’intento di affermare uno Stato a carattere regionalista ha avuto esito nella riforma del Titolo V della Costituzione che attribuisce alle regioni competenza legislativa di tipo primario residuale. Emanuela Abis ne sintetizza i principali aspetti giuridici, soprattutto in riferimento alla tematica ambientale, urbanistica e paesistica. Per la prima volta l’ambiente trova pieno riconoscimento in una norma di livello costituzionale che ne evidenzia il carattere complesso e multiforme, pur mantenendo ancora la dicotomia fra tutela e valorizzazione

 

 

Il disegno riformatore che interessa il nostro paese da oltre un decennio, con l’intento di affermare uno Stato a carattere regionalista, di sburocratizzare l’amministrazione pubblica e aumentarne l’efficienza, ha ormai raggiunto una fase molto avanzata. Dopo alcune importanti leggi che, a Costituzione invariata, hanno assegnato più ampie funzioni alle regioni e agli enti locali (legge 59/1997), si è intrapresa la strada della riforma costituzionale, giungendo all’approvazione nel 2001 della legge 3 che ha riscritto l’intero Titolo V della Costituzione e, nel giugno 2003, della legge 131, recante “Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale n. 3”. Il lavoro non sembra ancora concluso: oltre la proposta di integrazione sulla cosiddetta devolution, approvata in prima lettura dai due rami del Parlamento, il Consiglio dei Ministri ha recentemente varato (11 aprile 2003) il disegno di legge “Nuove modifiche al Titolo V, parte II della Costituzione” (La Loggia-Bossi), che si pone l’obiettivo di accentuare il carattere federalista del nostro ordinamento rafforzando, peraltro, il principio dell’interesse nazionale.

Il percorso riformatore presenta contenuti innovativi che potranno incidere fortemente sull’assetto e sul governo del territorio, sull’ambiente, sul paesaggio. Una breve sintesi dei principali aspetti giuridici della riforma è utile per delineare i termini delle argomentazioni che questo contributo propone al dibattito in corso.

Il sistema delle competenze tra Stato, regioni ed enti locali, prima incentrato saldamente nello Stato, è stato completamente capovolto: l’art. 114 del rinnovato Titolo V ha assegnato pari dignità costituzionale e pari autonomia a tutti gli enti politici territoriali; il nuovo art. 117, rovesciando lo schema della precedente formulazione, ha attribuito alle regioni competenza legislativa di tipo primario residuale, ossia in tutte le materie che non siano riservate in via esclusiva allo Stato, o affidate alle stesse regioni a titolo di potestà concorrente. Le regioni hanno dunque potestà legislativa esclusiva su un gran numero di materie, con il solo vincolo del rispetto della Costituzione, dell’ordinamento comunitario e degli obblighi internazionali, mentre per l’esercizio della potestà concorrente spetta allo Stato la sola determinazione dei principi fondamentali.

Per quanto attiene la potestà regolamentare l’impostazione che è stata data è decisamente regionalista: allo Stato spetta l’approvazione dei regolamenti nelle materie di competenza esclusiva statale, salvo delega alle regioni; a queste ultime spetta la potestà di approvare i regolamenti per tutte le altre materie, tranne quelle per le quali non sia espressamente assegnata la potestà ai comuni; a loro volta le regioni possono subdelegare ai comuni l’emanazione dei regolamenti.

L’art. 118 attribuisce tutte “le funzioni amministrative ai Comuni, salvo che per assicurarne l’esercizio unitario siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni, Stato sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza”.

Il nuovo sistema di riparto delle competenze, delineato dal Titolo V, è entrato nella fase delicata dell’attuazione e già sono numerosissimi i casi di conflitto di competenze sui quali la Corte costituzionale è stata chiamata ad esprimersi. Si pongono ricorrentemente alcuni problemi: la definizione delle materie di competenza esclusiva statale o regionale, e dei limiti che quest’ultima incontra derivanti dalle leggi statali, l’individuazione dei principi fondamentali per le materie di competenza concorrente, la revisione della normativa regolamentare.

Nei primi due anni di attuazione sembra permanere un’ottica centralista dello Stato, che si avvale del principio dell’interesse nazionale, riaffiorante implicitamente nel testo del nuovo art. 120, secondo il quale è possibile l’intervento sostitutivo statale “quando lo richiedono la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali”. Si tratta di una clausola generale che, di fatto, può restringere notevolmente lo spazio operativo delle regioni e frenare le fughe in avanti che esse non rinunciano a fare rivendicando autonomia sempre maggiore.

In questo quadro teorico e in questo sfondo operativo sta la questione dei beni paesistici, questione da sempre spinosa per la complessità insita nella natura stessa di tali beni e per gli interessi coinvolti: semplificando, da un lato l’interesse nazionale alla tutela e alla conservazione del paesaggio in tutte le sue forme, e non soltanto di quelle di particolare bellezza, dall’altro il diritto delle comunità locali a determinare i modi d’uso e le scelte di sviluppo del proprio territorio e l’interesse dei privati all’utilizzo della proprietà.

Va detto subito che la riforma lascia molte incertezze per quanto attiene le materie ambientale, urbanistica e paesistica, in primo luogo perché introduce nuove nozioni. Il testo dell’art. 117, al comma 2, lett. s), attribuisce la competenza esclusiva allo Stato nella “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”; al comma 3 affida alle regioni la competenza concorrente nelle materie della “valorizzazione dei beni culturali e ambientali, della tutela della salute, del governo del territorio, della protezione civile ….”. Per la prima volta compaiono nella Costituzione i termini ambiente, ecosistema, beni culturali, beni ambientali, governo del territorio, mentre scompare il termine urbanistica. L’ambiente trova finalmente riconoscimento in una norma di livello costituzionale che ne evidenzia il carattere complesso e multiforme, peraltro difficilmente riconducibile per la sua trasversalità alla catalogazione come materia. Nel testo non si trova il termine beni paesistici, né paesaggio rimasto, invece, nell’art. 9 quale valore fondante affidato alla Repubblica che, con le sue istituzioni, ne deve assicurare la tutela.

Il primo problema che si pone è, quindi, quello di definire le diverse nozioni, di individuare le materie e i loro confini, di stabilire il riparto delle competenze. La dottrina giuridica, già molto ampia sui filoni dei beni culturali e ambientali, dopo la riforma si è arricchita di ulteriori importanti studi: vi si ritrovano ipotesi affatto diverse, tutte attendibili, alcune delle quali portano a conclusioni diametralmente opposte. La giurisprudenza è ormai sufficientemente corposa, la prassi amministrativa consolidata, così da tracciare decise linee di orientamento.

Una prima interpretazione, la più diffusa in dottrina, prevalente anche nei comportamenti amministrativi statali e nei modelli interpretativi della giurisprudenza1, è quella che la tutela del paesaggio sia inclusa nella più ampia tutela dell’ambiente e, conseguentemente, di competenza esclusiva dello Stato, mentre la valorizzazione del paesaggio è demandata alle regioni. Questa opzione ha il suo fondamento sull’assunto che “la nozione di paesaggio, pur non identificandosi con quella di ambiente, si collega a questa come parte rispetto al tutto. O meglio, che la tutela paesaggistica, come quella ambientale o urbanistica, possono riguardare sempre gli stessi oggetti, ossia costituiscono forme di tutela che realizzano, quanto alla sfera degli interessi coinvolti e delle esigenze relative al territorio, una endiadi unitaria, ma diverse sono le finalità in relazione alle quali uno stesso oggetto viene riguardato; in questo contesto le finalità paesistiche possono porsi come differenziate rispetto a quelle ambientali, ovvero come parzialmente ricomprese in esse”2.

In questa accezione la tutela del paesaggio viene ad essere un interesse differenziato che riguarda in particolare la forma del paese, da perseguire in modo coordinato e omogeneo su tutto il territorio nazionale in relazione ai valori estetico-culturali rinvenibili ed apprezzabili.

L’ipotesi è suffragata dall’attuale normativa generale, il DLgs 490/1999, “Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali”, che soltanto al Titolo II differenzia i beni paesaggistici da quelli ambientali, per poi riaccomunarli subito dopo, all’art. 138, sotto il nome di beni ambientali, prevedendo per entrambi forme di tutela per il loro notevole interesse pubblico, incentrate sul provvedimento amministrativo di vincolo ex lege 1497/1939 (oggi art. 139 e seguenti DLgs 490/1999), o nel vincolo ope legis ex lege Galasso 431/1985 (oggi art. 146 DLgs 490/1999). Allo Stato, come è noto, è riservata la potestà di dichiarare beni ed aree di notevole interesse pubblico, di inibire o sospendere lavori che possano incidere negativamente su beni meritevoli di tutela, per quanto non ancora formalmente riconosciuti come tali, di revocare i provvedimenti autorizzativi regionali. Anche la Corte costituzionale, per suo conto, ha sempre riconosciuto la primarietà del valore paesistico e della sua tutela, dichiarandola “insuscettibile di subordinazione a qualsiasi altro interesse pubblico e privato” (sentenza 151/1986).

Secondo altre interpretazioni il paesaggio rientrerebbe tra le materie residuali e, quindi, di competenza esclusiva delle regioni: infatti, così come il legislatore ha indicato espressamente i beni culturali, altrettanto avrebbe fatto per i beni paesistici, qualora avesse voluto riservarne la tutela allo Stato. A favore di questa ipotesi vi sarebbe, ancora, il fatto che la distinzione tra i due concetti, paesaggio e ambiente, è sempre stata affermata giuridicamente3 ed è ribadita dalla distinzione esistente a livello governativo della competenza ministeriale. Il ragionamento, infine, appare in linea con lo spirito della riforma Bassanini, volto ad ampliare le competenze normative e amministrative delle regioni.

1. soleluna, composizione computerizzata di Nicola Vitolo (2002)

 

Un’ultima ricostruzione vede ricomprendere il paesaggio nel governo del territorio, nozione che viene ritenuta più estensiva di quella di urbanistica o di assetto del territorio di cui al Dpr 616/1977. Pur ribadendo la distinzione ontologica tra pianificazione urbanistica e pianificazione paesistica, tra vincolo urbanistico e vincolo paesistico, si sostiene che la regolamentazione dell’aspetto morfologico del territorio e delle sue interazioni con gli interessi di carattere economico e sociale sarebbe attratta, almeno nel nuovo dettato legislativo costituzionale, nella più generale nozione di governo del territorio e, conseguentemente, nella competenza regionale ripartita. Quest’ipotesi salverebbe, come si suol dire, capra e cavoli, da un lato riconoscendo l’esigenza di principi generali statali per assicurare un’efficace e omogenea tutela dei valori estetico-culturali del territorio nazionale e, dall’altro, affidando alle regioni un più incisivo ruolo nel definire norme di tutela coerenti con i diversi contesti locali, con le finalità dello sviluppo regionale e non soltanto una mera delega di funzioni amministrative o di valorizzazione.

In realtà i tre modelli interpretativi, utili soltanto per una ricostruzione schematica del sistema delle competenze, sono insufficienti a delineare quanto potrà avvenire realmente sul territorio in applicazione della riforma. Molto dipenderà, infatti, da come l’ordinamento evolverà, sotto la spinta delle esigenze concrete, verso un “regionalismo cooperativo”4, dalla capacità che avranno le regioni di appropriarsi di più ampi spazi di autonomia, incidendo significativamente sul paesaggio attraverso la disciplina delle materie loro affidate (governo del territorio, grandi reti di trasporto, agricoltura, caccia e pesca), dall’efficacia con la quale sapranno disciplinare la valorizzazione dei beni culturali e ambientali e, soprattutto, dai contenuti che lo Stato vorrà dare al livello primario della normazione sostanziale. Tale livello nazionale dovrebbe riguardare essenzialmente i principi che devono improntare la tutela e la conservazione dei beni paesistici, le linee di indirizzo per uniformare l’azione delle regioni per la pianificazione paesistica, i punti principali della normazione strumentale dell’organizzazione e delle modalità di svolgimento delle funzioni amministrative, in particolare quelle relative ai procedimenti per l’imposizione dei vincoli sui beni e per il rilascio dei nulla osta.

Si può proporre un’ulteriore più convincente argomentazione partendo dalla considerazione che il paesaggio, valore costituzionalmente protetto dall’art. 9 delle Disposizioni generali della Costituzione, non è individuabile come materia in senso tecnico dai contorni definiti, bensì ha carattere di trasversalità. La nozione di paesaggio non si può limitare più ai soli aspetti estetico-culturali, come talvolta si è preteso riduttivamente di fare in passato, ma ampliando la portata della nozione si può condividere la definizione adottata dalla Convenzione europea: “una parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni”. Dalla concezione monumentalistica che vedeva il paesaggio come risultante di particolari porzioni di territorio e sommatoria di beni culturali, si passa alla consapevolezza dell’unitarietà del paesaggio e dei suoi inscindibili legami con i processi insediativi, con il senso locale dei luoghi, con i fattori ambientali.

In questa accezione, ormai largamente condivisa, perde di significato la visione del paesaggio come materia giuridica a sé stante ed anche la differenziazione tra tutela e valorizzazione, mentre acquistano importanza i principi della leale collaborazione, del buon andamento dell’azione amministrativa, della sussidiarietà tra i livelli istituzionali e della cooperazione di tutti i soggetti della Repubblica, per raggiungere le finalità di una gestione attiva del territorio, improntata alla tutela degli interessi paesistici, storico-culturali, ambientali5. In tale modello di Stato pluralistico nessuno dei soggetti può assumere un comportamento di rigidità o di preminenza ingiustificata, ma deve ricercarsi la dimensione ottimale degli interessi pubblici in gioco attraverso il quale si individua il “livello territoriale esponenziale della collettività”. Un modello flessibile cooperativo, in sostituzione del vecchio modello rigido della separazione costituzionale delle competenze per materia.

In tale direzione potrebbe orientarsi il nostro modello di tutela e gestione dei beni paesistici. L’accordo raggiunto nell’aprile 2001, in sede di Conferenza permanente Stato-regioni, ha riaffermato la necessità di forme di collaborazione di tutti i livelli istituzionali e le ha riferite nel concreto alla redazione dei piani paesistici previsti dal Testo unico, prevedendo anche la necessaria “comparazione con gli altri atti di programmazione e pianificazione” e “misure di coordinamento con gli strumenti nazionali e regionali di sviluppo economico”. Pur mantenendosi la separatezza dell’atto autorizzativo, rilasciato ai fini della verifica di compatibilità paesistica preliminarmente rispetto alla concessione edilizia, e il potere statale di annullamento, tuttavia dal testo dell’accordo traspare una concezione dei rapporti Stato-regioni meno verticistica e più orientata a modelli di decentramento, con il coinvolgimento e la co-responsabilizzazione degli enti locali nella formazione dei piani paesistici riservati alle regioni e attraverso eventuali sub-deleghe per i provvedimenti autorizzatori6.

“La sovrapposizione di discipline, la moltiplicazione di procedimenti, l’affollamento dei soggetti costituzionalmente competenti”, sia in senso orizzontale nell’ambito ministeriale, che in senso verticale, viene comunque avvertito, ancora oggi, da studiosi autorevoli come causa di confusione e di difficoltà operative, tanto da auspicare una sostanziale revisione dell’originaria classificazione contenuta nella legge 1497/1939, come suggerito da Pierluigi Mantini7. Egli propone di portare i beni di cui alle lett. a) e b) dell’art. 139 del Testo unico tra i beni culturali di interesse artistico e storico, i beni paesaggistici (bellezze d’insiemi, belvedere ecc.) tra i beni a tutela urbanistica, mediante piani anche generali quali i piani paesistici, attribuendo ad autorità sovracomunali poteri di individuazione e sostitutivi, infine assimilare le ex bellezze naturali ai beni ambientali naturali, passandole all’amministrazione dell’ambiente e delle regioni.

Gli studi e le ricerche di taglio urbanistico sul paesaggio hanno da tempo messo in evidenza l’insufficienza dei paradigmi della tradizione italiana di tutela (istituto del vincolo, visione estetico-storicistica, centralismo amministrativo); più recentemente hanno individuato nuove prospettive di progettazione per il paesaggio e cercato di tradurre in termini operativi, adattandole al contesto italiano, i concetti e le strategie definite dalla Convenzione europea8.

2. pavone, composizione computerizzata di Nicola Vitolo (2002)

 

Il quadro che si va delineando potrebbe subire ulteriori cambiamenti qualora il Parlamento approvasse il nuovo disegno di legge costituzionale recentemente varato dal Governo che, tra le ulteriori modifiche da introdurre al Titolo V, prevede di abolire la competenza legislativa concorrente, allo scopo di tagliare il nodo dei conflitti di attribuzione. Si assegnerebbero alla competenza esclusiva statale “la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, la tutela dei beni culturali e la valorizzazione dei beni culturali di interesse nazionale”, mentre per quanto attiene la tutela del paesaggio e la valorizzazione dei beni culturali allo Stato verrebbero attribuite le norme generali, di fatto reintroducendo una sorta di competenza concorrente. In questo nuovo riparto di competenze ai beni paesistici verrebbe riconosciuto un interesse del tutto differenziato rispetto ai beni culturali e ambientali, potendo i primi essere disciplinati da leggi regionali che dovrebbero tutelare essenzialmente i valori estetici, peculiari e riconoscibili nei diversi contesti insediativi regionali, mentre per i beni culturali e ambientali verrebbe riaffermata l’esigenza di una disciplina statale. Anche il nuovo testo mantiene la dicotomia tra tutela e valorizzazione, affidando quest’ultima alla potestà esclusiva regionale. Il governo del territorio, infine, passerebbe alla competenza esclusiva regionale.

Le conseguenze che il processo di riforma, una volta compiuto, potrebbe produrre sul paesaggio sono oggi difficilmente prevedibili e descrivibili. In linea generale si può ipotizzare che lo spostamento verso il livello regionale di molte competenze legislative e verso il livello degli enti locali della quasi totalità dei compiti amministrativi produrrà nel tempo un’ampia diversificazione sul territorio nazionale delle forme di tutela, del regime vincolistico, delle procedure e, in ultima analisi, del concetto stesso di paesaggio. Sarebbe assolutamente necessario rivedere il testo unico per dare alla parte normativa relativa al paesaggio carattere di norma generale (cui dovrebbero riferirsi le leggi regionali), a tutta la restante parte carattere di norma esaustiva per la disciplina della tutela di ambiente, ecosistema, beni culturali e di norma generale per la valorizzazione dei beni culturali. Nel livello normativo statale del tutto assente dovrebbe essere la valorizzazione dei beni ambientali, così come la disciplina urbanistica. Si verrebbe a configurare la nozione di un territorio quasi segmentato nelle sue componenti ambientali, ecologiche, storico-culturali, paesaggistiche e degli usi insediativi e produttivi che verrebbero disciplinati da leggi e soggetti diversificati. Non sembra così potersi perseguire quella unitarietà dei processi di governo del territorio capace di assicurare efficaci e durevoli forme di salvaguardia e contestualmente di valorizzazione.

 

1 Consiglio di Stato, Sezione VI, Decisione n. 4561/2002, “… il nuovo Titolo V della Carta fondamentale demanda la tutela dell’ambiente allo Stato e la mera valorizzazione alle regioni, con scelta che potrebbe essere preludio di un ruolo più incisivo dello Stato nella materia ...”.

2 Caravita B., Morrone A., L’ambiente e i suoi confini: urbanistica, paesaggio, sanità, biotecnologie, in Caravita B. (2001), “Diritto dell’ambiente”, Il Mulino, Bologna.

3 Per un’analisi storica dell’evoluzione della nozione giuridica di paesaggio si vedano i lavori della Commissione Franceschini istituita con legge nel 1964, oltre le classiche definizioni di Massimo Severo Giannini, di Sandulli, di Predieri.

4 Questo modello di organizzazione della tutela del paesaggio è proposto nel saggio: Buonauro M. (2002), L’organizzazione pubblica della tutela dei beni paesistici e delle aree naturali protette: un possibile modello di Stato pluralistico, in Santaniello G., “Trattato di Diritto amministrativo. I beni e le attività culturali”, Vol. XXXIII, Cedam, Padova.

5 “Nel nuovo testo costituzionale i beni culturali e ambientali vengono considerati in un contesto omogeneo, in cui viene fissata una distribuzione di competenze fluida e diversa rispetto agli ordinari canoni di ripartizione delle materie” così Buonauro M. (2002), op. cit.

6 Il modello che si segue è quello dei meccanismi cooperativi e di integrazione, basato sulle intese, sui pareri, sul dovere di mutua informazione, modello che intende perseguire un equilibrio innovativo tra garanzia ed efficienza dell’azione amministrativa: la programmazione e la predisposizione degli obiettivi fondamentali viene affidato ad organismi a struttura mista, mediante forme di raccordo e di codecisione; la perdita dell’esercizio diretto da parte delle regioni di compiti di interesse nazionale viene controbilanciata dall’introduzione di strumenti di collaborazione a carattere consensuale.

7 Mantini P. (2002), La tutela dei beni paesistici, in Santaniello G., op. cit.

8 Si veda in particolare la ricerca della Società Italiana degli Urbanisti per conto del Ministero per i beni e le attività culturali, pubblicati nel volume: Clementi A. (2002), Interpretazioni di paesaggio, Meltemi, Roma.

 

Bibliografia

 

Assini N. (2000), Pianificazione urbanistica e governo del territorio, Cedam, Padova.

AA.VV. (2001), Problemi di federalismo, Giuffrè, Milano.

Bin R. (2001), Le potestà legislative regionali dalla Bassanini ad oggi, in “Le Regioni”, n. 4.

Bin R. (2002), Il nuovo Titolo V: cinque interrogativi su sussidiarietà e funzioni amministrative, in “Forum di Quaderni Costituzionali”, 2.1.2002.

Caravita B. (1994), Stato, Regioni ed Enti locali nelle politiche di gestione dell'ambiente: i problemi del raccordo di competenze, in Riv. Giur. Amb., n. 359.

Caravita B. (2001), Diritto dell’ambiente, Il Mulino, Bologna.

Giannini M. S. (1976), I beni culturali, in “Rtdp”.

Mantini P. (2002), La tutela dei beni paesistici, in Santaniello G., “Trattato di Diritto amministrativo. I beni e le attività culturali”, Vol. XXXIII, Cedam, Padova.

Predieri A. (1981), Paesaggio, in “Enciclopedia del diritto”, Vol. XXXI, Giuffrè, Milano.

Sandulli A. M. (1989), Diritto amministrativo, Jovene, Napoli.

Sandulli A. M. (1990), Scritti giuridici, Vol. IV, “Diritto Urbanistico”, Jovene, Napoli.

Sito internet: www.federalismi.it

 

1. soleluna, composizione computerizzata di Nicola Vitolo (2002)

2. pavone, composizione computerizzata di Nicola Vitolo (2002)

 

 

Presentazione | Referenze Autori | Scrivi alla redazione | AV News | HOME

 

 Il sito web di Area Vasta è curato da Michele Sol