Numero 6/7 - 2003

 

l'ambiente della produzione 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Bonifica e ripristino ambientale dei siti inquinati


Simone Ombuen


 

La legge 426/1998 individua, sulla base di criteri di rischio sanitario e ambientale, di pregio ambientale e di rilevanza socio-economica, una serie di siti di interesse nazionale che necessitano di interventi di bonifica e ripristino ambientale. Simone Ombuen commenta, tra i vari provvedimenti varati in tale materia, succedutisi dal 1998 ad oggi, quelli che presentano un più evidente rilievo urbanistico e pianificatorio

 

 

 

Gli antefatti

 

La vicenda di cui danno conto queste note prende inizio dai provvedimenti in materia ambientale varati nel 1998 per consentire il concorso pubblico nella realizzazione di interventi di bonifica e ripristino ambientale dei siti inquinati anche in previsione della loro dismissione e per dare seguito operativo all’assunzione di responsabilità conseguente alla firma dei Protocolli di Kyoto.

La legge 426/1998 individua una prima serie di 14 siti di interesse nazionale1, poi perimetrati con decreto del Ministero dell’ambiente2, sentiti i comuni interessati. Si tratta solo di un primo elenco, passibile di incrementi man mano che emergono le diverse situazioni di criticità ambientale. Ed infatti la legge 23 dicembre 2000, n. 388, ed in particolare l’articolo 114, commi 24 e 25, ha in seguito individuato tre nuovi siti di interesse nazionale3.

Dal loro canto le regioni hanno presentato proposte in merito agli interventi da inserire nel programma statale ai fini della classificazione quali ulteriori interventi di interesse nazionale. Fra queste proposte con il Dm 468/2001 sono stati identificati ed inseriti nel programma nazionale 23 ulteriori siti, sulla base di criteri di rischio sanitario e ambientale, di pregio ambientale, di rilevanza socio-economica4. Per tali siti è in corso la procedura di perimetrazione secondo le medesime procedure di cui alla legge 426/1998.

Il successivo provvedimento in materia, il Dm 468/2001, è il primo vero tentativo di costruire un programma operativo a scala nazionale per la bonifica ed il ripristino ambientale dei siti inquinati. Fra l’altro, l’art. 3 del Dm prevede che gli interventi di interesse nazionale, per i quali il programma disciplina e prevede il concorso pubblico, sono quelli di messa in sicurezza d’emergenza, di bonifica, di messa in sicurezza permanente e di ripristino ambientale.

L’art. 5 descrive i possibili beneficiari delle sovvenzioni pubbliche per la bonifica: oltre ai soggetti pubblici, anche i soggetti privati in grado di esercitare diritti reali sui beni immobili, con la limitazione, per i soli immobili con destinazioni residenziali, che esse siano anteriori all’entrata in vigore del Dm 471/19995 e “conformi alla vigente normativa urbanistica ed edilizia”.

Vengono esclusi i soggetti privati che in data anteriore all’entrata in vigore del regolamento di cui al Dm 25 ottobre 1999, n. 471, risultino a qualsiasi titolo responsabili di violazioni di norme di tutela ambientale che abbiano cagionato danno ambientale, ai sensi della legge 349/1986, nonché in alcune fattispecie gli altri soggetti privati responsabili dell’inquinamento verificatosi prima dell’entrata in vigore di detto Dm; vengono altresì esclusi i soggetti privati che si siano resi, a qualunque titolo, per atti inter vivos, acquirenti o cessionari, in data successiva all’entrata in vigore di detto Dm, di diritti reali o personali d’uso relativamente alle aree inquinate; in tutti i casi con estensione alle persone giuridiche che si trovino in una delle condizioni di controllo o di collegamento di cui all’articolo 2359 del codice civile rispetto al soggetto responsabile dell’inquinamento.

 

 

Gli sviluppi recenti

 

Su tale materia interviene la legge 179/2002, provvedimento omnibus in materia ambientale, che introduce varie innovazioni.

Anzitutto l’art. 14 aumenta a 50 il numero dei siti inquinati riconosciuti come di interesse nazionale (Figura 1 e Tabella 1)6.

Figura 1 - Siti di interesse nazionale

  

 

Tabella 1

 

L’art. 18 istituisce una procedura alternativa a quella prevista dal Dm 468/2001 e sopra descritta per l’identificazione dei soggetti ai quali affidare le attività di bonifica e riqualificazione delle aree industriali interessate.

Il Ministero dell’ambiente, avvia una procedura di evidenza pubblica, nel caso che il proprietario o gestore delle aree industriali da bonificare, che abbiano avviato o assunto impegni nel programma di attuazione degli interventi di bonifica, siano inerti ad una circostanziata diffida a procedere.

Il Ministero individua, sulla base dei progetti preliminari integrati di bonifica e sviluppo (dizione sinora mai apparsa) presentati dai concorrenti, il soggetto al quale affidare le attività di bonifica e di riqualificazione delle aree industriali interessate.

Per essere ammessi alla procedura di evidenza pubblica, i progetti preliminari devono contenere, tra le altre, le seguenti indicazioni:

- garanzia da parte del soggetto affidatario per l’integrale assunzione dei costi di esproprio delle aree interessate, di cui ai commi 3 e 4;

- durata del programma;

- piano economico e finanziario dell’investimento.

Il Ministro dell’ambiente stipula, con i Ministri dell’interno - protezione civile, delle attività produttive e delle infrastrutture e dei trasporti, con i presidenti delle giunte regionali, delle province e con i sindaci dei comuni territorialmente competenti, uno o più accordi di programma per l’approvazione del progetto definitivo di bonifica e di ripristino ambientale. Gli accordi di programma comprendono il piano di caratterizzazione dell’area e l’approvazione delle eventuali misure di messa in sicurezza di emergenza, gli interventi di bonifica o di messa in sicurezza definitiva e l’approvazione del progetto di valorizzazione dell’area bonificata, che include il piano di sviluppo urbanistico dell’area e il piano economico e finanziario dell’investimento.

Al fine di garantire al soggetto affidatario il recupero dei costi di esproprio, bonifica e riqualificazione delle aree, nonché il congruo utile di impresa, il soggetto affidatario può disporre delle aree bonificate utilizzandole in proprio in concessione o cedendole a terzi secondo le direttive fissate dal piano di sviluppo urbanistico.

È prevista l’acquisizione con esproprio al patrimonio disponibile dello Stato o degli enti territoriali competenti delle aree inquinate da bonificare, i cui costi saranno integralmente sostenuti dal soggetto affidatario.

È anche previsto che dall’attuazione del provvedimento non debbano derivare nuovi o maggiori oneri per il bilancio dello Stato e degli enti territoriali competenti.

La procedura è applicabile anche da parte delle regioni per i siti da bonificare di loro competenza.

 

 

Il commento

 

Gli aspetti toccati dall’insieme dei provvedimenti più sopra sunteggiati sono vari; ci limiteremo nel presente testo ad un commento relativo a quelli che presentano un più evidente rilievo urbanistico-pianificatorio.

Un primo elemento di riflessione è relativo alla gran varietà delle aree e di contesti territoriali, molto differenziati, che sono ricompresi in una disciplina che vuole, invece, porsi come omogenea. Vengono associate operazioni prettamente urbane, perché riguardanti contesti ormai storicamente interni agli insediamenti, a operazioni di riqualificazione ambientale, come ad esempio il risanamento di interi ambiti fluviali, che si presentano, invece, come chiaramente proiettate alla scala dell’area vasta. È auspicabile che una seria applicazione operativa dell’insieme dei provvedimenti in esame sappia trovare gli opportuni raccordi con gli strumenti di pianificazione più appropriati a programmare e gestire i relativi interventi, distinguendo sia in relazione al livello scalare ed alla proiezione territoriale, che in relazione alla specificità più o meno settoriale o specialistica che gli interventi necessari invocheranno. Appare cioè necessaria quella capacità di concerto interistituzionale e di definizione a geometria variabile degli strumenti di pianificazione già da tempo invocata dall’Inu in molti suoi documenti, e ribadita in occasione del Convegno nazionale di Firenze del dicembre 2001 sulle pianificazioni separate.

Sempre in relazione a questo ordine di ragionamenti, appare sensato  che a fronte della varietà di situazioni e contesti che verranno affrontati, corrisponda una varietà di criteri per la definizione delle perimetrazioni che consenta di includere negli ambiti di intervento non le sole aree-problema (alle quali può comunque essere eventualmente riferito un perimetro più ristretto), ma anche l’ambito fisico ambientale e relazionale sul quale sia l’attuale condizione di inquinamento che i possibili interventi di trasformazione proiettano effetti rilevanti e significativi. Si tratta del classico caso nel quale un criterio universalistico non può essere applicato sulla base delle condizioni di partenza (la gravità del degrado e dell’inquinamento dei siti), ma ogni valutazione va riferita alla sostenibilità ed alla qualità, necessariamente varia e differenziata, delle possibili condizioni di arrivo, dando così spazio all’applicazione di principi di perequazione territoriale indispensabili per un programma di scala nazionale.

Un secondo ordine di considerazioni è relativo al rapporto tra fattibilità degli interventi e pianificazione territoriale e urbanistica. Secondo il testo del provvedimento più recente il progetto di valorizzazione include il piano di sviluppo urbanistico dell’area ed il piano economico e finanziario dell’investimento. Si tratta per certi versi di una scelta ragionevole, giacché appare sensato che le elaborazioni per la trasformazione urbanistica siano coordinate con quelle relative alla fattibilità economico-finanziaria degli interventi; un coordinamento la cui mancanza sostanziale ha gravemente nuociuto alla operatività dell’urbanistica italiana del secondo dopoguerra, e che è rientrato pienamente nelle pratiche urbanistiche per lo più grazie alle esperienze di sperimentazione dei programmi complessi a livello nazionale.

Va segnalata un’inversione logica, dato che è previsto che sia il progetto di valorizzazione a comprendere il piano urbanistico, mentre normalmente sono i piani urbanistici a dare indirizzi e prescrizioni ai progetti. Qui il legislatore sembra ignorare che, nella definizione degli interventi di trasformazione del territorio, è ormai ampiamente invalso l’uso di arricchire il percorso progettuale di uno stadio preliminare della progettazione correntemente definito come studio di fattibilità, che è oggetto di apposita normativa di indirizzo emanata dalla Conferenza dei presidenti delle regioni e che si presenta come lo strumento principe per associare accertamenti sostanziali ed affidabili distinguendoli dagli atti formali, quali appunto i piani urbanistici, che, invece, precisano e dettagliano gli specifici diritti edificatori afferenti ai singoli proprietari.

Altrettanto problematico appare il fatto che il piano urbanistico venga approvato in sede di accordo di programma fra un gran numero di enti, con prevalenza numerica di quelli di rango nazionale e con inevitabile riduzione del ruolo delle autorità comunali. Indipendentemente da ogni pur rilevantissima e pertinente riflessione sull’esercizio della sovranità delle comunità locali e del loro diritto di prima istanza di autodeterminazione delle linee di trasformazione del territorio di insediamento, non si può misconoscere che le principali componenti del plusvalore fondiario, realizzabile con la trasformazione urbanistica, non siano proprie del sito di per sé, ma dipendano in modo determinante dalle condizioni al contorno e dal contesto, che spesso ha per lo più sopportato, anche con gravi danni e sofferenze degli abitanti, la presenza delle attività inquinanti nei siti.

Mi sembra innegabile come le utilità principali derivanti da eventuali e pur necessarie valorizzazioni immobiliari debbano in prima istanza essere orientate, oltre che per obiettivi di risanamento ambientale, al ristoro delle comunità locali, che per ammissione della stessa normativa vigente hanno sinora subìto le conseguenze di episodi di degrado ambientale di rango nazionale.

Un quarto aspetto degno di considerazione è, in senso più ampio, il trade-off che si viene a generare tra economia urbana e copertura dei costi delle politiche ambientali nazionali. Non si vuol qui sostenere delle tesi contro le politiche nazionali di bonifica dei siti inquinati, che vanno invece promosse e sostenute. Ma esse per motivi di equità non possono, a mio avviso, derogare dal principio generale del chi inquina paga (su questo aspetto i provvedimenti arrivano al massimo a dire che chi inquina non guadagna).

È, inoltre, gravemente negativo che i plusvalori fondiari producibili all’interno di operazioni di trasformazione urbanistica vengano orientati per intero al finanziamento della bonifica e all’utile degli operatori. In tal modo si sottrae al governo delle trasformazioni, che non ha mai ricevuto in Italia una quota di risorse paragonabile alla scala ed alla rilevanza dei problemi che si è trovato a gestire, anche la possibilità di orientare quei plusvalori che costituiscono la principale risorsa rimasta nelle disponibilità delle amministrazioni locali che, tramite la manovra urbanistica, conferiscono credibilità e sostanza alle politiche pubbliche di trasformazione del territorio.

Si tratta in fondo di un tipico conflitto nell’uso delle risorse liberabili, fra obiettivi pubblici di diverso ordine e grado di rilevanza. Conflitti che, in una corretta interpretazione del nuovo testo della seconda parte della Costituzione, non è più possibile tranciare assegnando comunque la palma della primazia ad un interesse di livello statale. Al contrario, a partire dai nuovi principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza (art. 118 Cost.) occorrerà, caso per caso, proporre le opportune domande su quali siano gli interessi pubblici da tutelare e quale sia la gerarchia che va fra di essi composta secondo proporzionalità e misura. Per poter poi collocare le opportune risposte negli strumenti di pianificazione e programmazione che meglio si attagliano ai problemi in campo, anzitutto in quelli d’area vasta che appaiono i più adatti al governo delle problematiche di riqualificazione ambientale di molti dei siti in questione.

Infine: come farà il Ministero dell’ambiente ad individuare il miglior progetto preliminare integrato di bonifica e sviluppo, quando la parte decisiva di tale progetto, quella destinata a generare le condizioni di fattibilità sarà, come è ovvio, la parte urbanistica e non quella ambientale? È una domanda alla quale daranno via via risposta i vari decreti attuativi che definiranno gli ambiti e avvieranno le operazioni nelle singole aree.

 

 

1 Questi primi siti sono i seguenti: Cengio e Saliceto; Massa e Carrara; Napoli orientale; Pieve Vergonte; Balangero; Casal Monferrato; Manfredonia; Litorale Domitio Flegreo ed Agro Aversano; Pitelli (La Spezia); Taranto; Brindisi; Piombino; Gela e Priolo; Venezia-Porto Marghera.

2 Sulla base dei criteri di cui all’art. 18, comma 1, lettera n) del DLgs 5 febbraio 1997, n. 22 e successive modificazioni.

3 Sesto San Giovanni, Napoli Bagnoli-Coroglio, Pioltello e Rodano.

4 Basse di Stura (Torino), Biancavilla, Bolzano, Cerro al Lambro, Cogoleto (Stoppani), basso bacino del fiume Chienti, Crotone, Emarese (Aosta), Fibronit (Bari), Fidenza, Provincia di Frosinone, laguna di Grado e Marano, Guglionesi II, Livorno, Mardimago e Ceregnano (Rovigo), Milano-Bovisa, fiumi Saline e Alento, comprensorio Sassuolo-Scandiano, Sulcis Iglesiente-Guspinese, Terni, Tito, Trento Nord, Trieste.

5 Regolamento recante criteri, procedure e modalità per la messa in sicurezza, la bonifica e il ripristino ambientale dei siti inquinati, ai sensi dell’art. 17 del DLgs 5 febbraio 1997, n. 22, e successive modificazioni e integrazioni.

6 I nuovi siti aggiunti sono: Brescia-Caffaro (aree industriali e relative discariche da bonificare), Broni, Falconara Marittima, Serravalle Scrivia laghi di Mantova e polo chimico, Orbetello area ex Sitoco, aree del litorale vesuviano, aree industriali di Porto Torres, area industriale della Val Basento.

 

 

Le informazioni e le immagini riportate sono tratte dall’Annuario 2002 dei dati ambientali prodotto dall’Apat.

 

 

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